il voto in turchia
Che succederà nei prossimi probabili e faticosi cinque anni di Erdogan
Il presidente uscente è il favorito nei ballottaggi. Gli elettori credono che possa garantire la stabilità della Turchia, ma la sua gestione della spesa pubblica apre una fase di possibile instabilità economica. E anche nel suo partito si prospettano turbolenze
Ankara. Un terremoto catastrofico avrebbe potuto porre fine all’èra di Recep Tayyip Erdogan, ma domenica 28 maggio il presidente sembra pronto a vincere le elezioni presidenziali. Larghi strati della popolazione turca avvertono che l’economia è in sofferenza, sentono che è stata praticata una politica economica sbagliata e sembrano aver capito che la macchina di prevenzione e di soccorso di fronte alle calamità si mostra carente e inadeguata. Nonostante tutto ciò almeno la metà del paese pensa che sia Erdogan l’uomo capace di rimettere in piedi il paese e non vuole dare al suo sfidante Kemal Kiliçdaroglu la possibilità di provare. Il risultato del ballottaggio avrà importanti implicazioni sulla politica interna ed estera della Turchia. Lo scenario più plausibile è che Erdogan vinca ma non in maniera schiacciante e probabilmente assisteremo a una politica interna ed estera sulla falsariga di quella praticata finora. E’ probabile che Erdogan continuerà a contare su Russia e paesi del Golfo per poter sostenere il suo modello economico. Il presidente ha infatti abbracciato una politica economica non ortodossa e se non vi sarà una inversione di rotta la Turchia rischierà un ulteriore crollo della valuta, un aumento dell’inflazione già molto elevata e una ulteriore perdita di fiducia da parte dei mercati.
Gran parte degli elettori pensa di votare Erdogan per garantire la stabilità del paese. Le masse imprenditoriali dell’Anatolia profonda e del Mar Nero, un tempo denominate “tigri anatoliche”, rappresentano il suo più solido bacino elettorale e si affidano all’uomo forte da 21 anni essendo stato in grado di garantire una soddisfacente tenuta politica ed economica del paese, lontano dalle turbolenze dei precedenti governi coalizione. Ma il rischio è che dopo le elezioni, con o senza Erdogan, si apra una lunga fase di instabilità, nel settore economico, in politica interna ed estera. Il governo del dopo 28 maggio si troverà ad affrontare gli effetti negativi sulle casse dello stato, già a secco, dovuti alla politica della cosiddetta “spesa elettorale” messa in atto dal presidente in vista del voto. Nella spesa elettorale Erdogan aveva inserito l’aumento degli stipendi dei dipendenti statali del 75 per cento, l’aumento del salario minimo del 55 e sussidi per carburante, elettricità e gas naturale. Inoltre è stato abolita una regola sull’età pensionabile, consentendo potenzialmente a più di 2 milioni di turchi di andare in pensione anticipatamente. Per poter fare fronte a tutte queste spese, probabilmente si procederà ad una ulteriore svalutazione della lira. Se a questo aggiungiamo il costo di almeno 110 miliardi di dollari necessari per la ricostruzione delle aree terremotate, si comprende bene che Ankara avrà bisogno di un grosso afflusso di denaro che potrà arrivare solo riconquistando la fiducia dei mercati, cosa che al momento potrebbe fare invece Kiliçdaroglu aprendo una nuova pagina nella politica economica turca, ma che non può fare Erdogan che non sembra in grado di attrarre di nuovo i capitali stranieriormai scappati.
Dopo il 28 maggio si aprirebbe anche una fase di instabilità politica. Erdogan non ha la maggioranza qualificata di 360 seggi in Parlamento per operare una riforma costituzionale per candidarsi per un terzo mandato: questo potrebbe accadere solo con un referendum giudicato troppo rischioso visti i risultati risicati dell’ultimo voto, dunque si aprirebbe nel paese, e soprattutto all’interno del suo stesso partito, la corsa alla successione. A marzo 2024 ci saranno le elezioni locali, e l’Akp di Erdogan oltre a perdere di nuovo Istanbul rischia di uscirne lacerato dalle faide interne. La lotta interna all’Akp è a tre: tra la corrente del potente ministro dell’Interno Suleyamn Soylu, vicino agli ultranazionalisti di Bahçeli, che si contrappongono alla corrente Pelikan guidata dal genero di Erdogan, Berat Albayrak, ex ministro delle Finanze, e quella del pupillo del presidente, l’ex primo ministro Binali Yildirim.