Elezioni locali
La Spagna al voto: Sánchez è affaticato, i popolari no ma pesa l'incognita Vox
Si eleggono le amministrazioni di Madrid, Barcellona e altre grandi città, nonché di dodici regioni su diciassette. Sarà una prova generale in vista delle politiche di fine anno: ci sono tutti gli elementi perché finisca per prevalere la destra
Le elezioni municipali e regionali di domani in Spagna sono il trailer del vero big show, ovvero le elezioni politiche di fine anno. In questa tornata i cittadini voteranno per il rinnovo delle amministrazioni di tutti i comuni (e quindi anche Madrid, Barcellona e le altre grandi città) e di molte regioni (dodici su diciassette). E dai risultati complessivi si cercherà di capire se in autunno il premier socialista Pedro Sánchez ha qualche possibilità di poter rinnovare la cosiddetta “coalición Frankenstein” – ovvero la risicata maggioranza patchwork di partiti minori con l’appoggio della quale guida la Spagna dal 2018 – o se il Partito popolare di centrodestra è destinato ad andare al potere, piegandosi però a un’alleanza con i sovranisti populisti di Vox.
Ci sono tutti gli elementi perché domani (e poi anche alle politiche) finisca per prevalere la destra. Sánchez è un po’ logorato dagli anni di governo. E alla sua sinistra c’è troppo movimento. Da quando il suo leader Pablo Iglesias si è ritirato a vita privata, la piattaforma Unidas Podemos, che è il principale socio di governo dei socialisti, ha cominciato a perdere consenso elettorale. E, nel frattempo, la vicepremier Yolanda Díaz (che era in quota Podemos pur avendo solo la tessera del Partito comunista) ha lanciato Sumar, una nuova formazione che ha l’ambizione di riorganizzare la sinistra-sinistra intorno a parole d’ordine più pragmatiche di quelle di Podemos. Ma, dal momento che Sumar non corre alle amministrative, la Díaz sta contribuendo alla confusione: in alcune città (o regioni) ha suggerito ai suoi estimatori di scegliere Podemos mentre in altri luoghi ha dato invece indicazione di voto per altre scaglie più locali della sinistra radicale.
Sul fronte dei partiti indipendentisti che in questi anni hanno contribuito a sostenere il governo Sánchez nei momenti difficili, si è invece distinta per il suo contributo all’entropia la coalizione EH Bildu, che include i partiti baschi che negli anni del terrorismo separatista erano più vicini al gruppo armato Eta. Qualche settimana fa è emerso che EH Bildu ha inserito nelle sue liste per le elezioni municipali quarantaquattro candidati che hanno nel loro palmarès delle condanne legate, appunto, al terrorismo. I sette fra loro che hanno commesso reati di sangue gravi e gravissimi hanno quindi annunciato che, se eletti, si dimetteranno. Questo tardivo passo indietro non ha certo impedito ai popolari e a Vox di mettere in grave imbarazzo Sánchez, rinfacciandogli le scelte “nostalgiche” da parte degli indipendentisti baschi che, dopo aver puntellato per anni il governo socialista grazie al voto dei loro deputati a Madrid (e candidandosi a stampella dell’esecutivo anche per il futuro), hanno inserito con disinvoltura tanti ex gunmen nelle loro liste. Non bastasse, negli ultimi giorni, sempre a sinistra, c’è stato anche qualche scaldaletto di compravendita di voti. Inoltre, c’è chi ritiene che i sondaggi, com’è successo una settimana fa in Grecia, sottovalutino l’appeal elettorale del centrodestra e che domani ci sarà uno sfondamento ancora più deciso da parte del Partito popolare.
Non si deve dimenticare, però, che la Spagna, dopo essere stata per decenni molto bipartitica, è ora politicamente più frastagliata. E non si deve neppure dimenticare che la principale debolezza dei socialisti è anche la loro più grande forza. Infatti, se è vero che per governare (sia localmente sia a livello nazionale) i socialisti dovrebbero in ogni caso appoggiarsi sempre a una galassia di partitini (tra indipendentisti, regionalisti e frantumi assortiti della sinistra radicale), è altrettanto vero che il loro leader Sánchez si è dimostrato un fuoriclasse nel riuscire a guidare la sua nave anche se coadiuvato da una ciurma siffatta. Dall’altra parte, invece, il Partito popolare ha un solo possibile alleato: Vox. E Vox è un partito che, al momento (e cioè con gli indipendentisti catalani in fase di riorganizzazione) si presenta come molto più “contaminante” rispetto a quelli cui si rivolgono i socialisti: non si sazierebbe, infatti, dei contentini con cui Sánchez sfama i suoi alleati, ma finirebbe invece per forzare verso destra, con la sua notevole concorrenza elettorale, il baricentro politico dei popolari.
In più, persino il maggior bersaglio cui puntano domani i popolari, e cioè la conquista della maggioranza assoluta nella regione di Madrid da parte della loro candidata Isabel Díaz Ayuso, potrebbe avere un contraccolpo negativo per la stabilità del partito: quando in passato ha sentito altrettanto vento in poppa, la Ayuso – che ha scelto uno slogan non proprio locale per la sua campagna elettorale madrileña (“O Sánchez o España”) – ha già fatto perdere il posto, con il suo protagonismo, all’allora leader del suo stesso partito, Pablo Casado. E anche questa volta un suo eccessivo trionfo potrebbe finire per creare qualche problema di leadership all’attuale capo dei popolari (e candidato premier) Alberto Núñez Feijóo.
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