(foto EPA)

il secolo turco

Erdogan vuole iniziare la sua rivoluzione da Istanbul, la città persa. Non ha soldi, solo ideologia

Mariano Giustino

Il presidente vince ma già guarda avanti: punta a riconquistare la capitale economica del paese, ora in mano alle opposizioni. E a ridare una nuova veste ultra nazionalista alla Turchia, recuperando quegli elementi che rappresentano le radici dell’identità turco-islamica che la rivoluzione kemalista aveva represso

Ankara. La porta del palazzo presidenziale di Bestepe di Ankara si è aperta a Erdogan per il terzo mandato consecutivo che inizierà con i festeggiamenti del centenario della fondazione della Repubblica turca forgiata da Mustafa Kemal Atatürk nel 1923. Il sogno del presidente è quello di inserire saldamente la Turchia in un alveo socialmente conservatore-islamista e di liberarla dal sistema finanziario occidentale. Erdogan sembra che si stia preparando per una campagna a tutto campo che durerà fino alla primavera del 2024 e che dovrebbe condurlo alla riconquista di Istanbul, perduta nel 2019.  “Istanbul sono innamorato di te e ti riavremo”, ha gridato domenica dal suo autobus elettorale, riferendosi al fatto che l’opposizione controlla la megalopoli, cuore economico dell’islam politico turco, da sempre bacino militante del suo Ak Parti, sede di fondazioni islamiste, alcune delle quali dirette da esponenti a lui vicini e da suoi familiari.  Ha già invitato i suoi sostenitori a mobilitarsi per le elezioni municipali e a riprendersi tutte le grandi città che il suo Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) ha perso nel 2019.

 

Erdogan vince, non si ferma e guarda avanti. Avrebbe potuto usare toni più sereni,  più concilianti, dopo la vittoria conseguita, ma nel suo ennesimo discorso dal balcone del palazzo presidenziale ha pronunciato le parole più veementi da quando è al potere. Dopo essere tornato a definire terrorista il leader curdo Selahattin Demirtas, rinchiuso in una cella di tipo F in attesa di giudizio dal 4 novembre 2016, ha bollato ancora una volta tutta l’opposizione come “gay e terrorista” dicendo che “le estensioni di Kandil non amano questa nazione”. Il riferimento è a Kiliçdaroglu e ai suoi alleati accusati di essere sostenuti dal partito filocurdo Hdp, che considera il braccio politico dell’organizzazione armata autonomista Pkk che ha sede a Kandil nel nord Iraq.

 

Dopo aver imbarcato nella sua coalizione ogni frangia del nazionalismo e islamismo più estremo come l’organizzazione curda-sunnita dell’Hezbollah turco, Hüda Par e dello Yeniden Refah Partisi dell’islam politico più radicale, punta a rompere il fronte unito del cosiddetto “Tavolo dei Sei”, di quella variegata opposizione che va dal partito socialdemocratico Chp di Kiliçdaroglu ai piccoli partiti conservatori-nazionalisti costituiti da fuoriusciti dell’Ak Parti che avevano fondato un loro partito. Marchiandoli davanti all’opinione pubblica con l’etichetta di “gay e terroristi” spera di scompaginare le file della coalizione di opposizione e di attrarre nelle proprie gli eventuali transfughi per incrementare la sua maggioranza parlamentare. 

 

Il nuovo Refah del figlio del defunto Necmettin Erbakan, mentore di Erdogan negli anni ’90, dopo aver preteso il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, chiede il ritiro della legge n. 6284 sulla violenza contro le donne e i loro figli, di consentire anche i matrimoni con le ragazze minorenni, la revisione della legge sul divorzio e il ritiro della legislazione sul diritto di famiglia, conquista delle donne negli anni Ottanta. 
Il leader turco intende sgretolare la Repubblica laica fondata da Atatürk, annichilendo l’opposizione, e dare vita a quella che lui invoca come la “Nuova Turchia” con i suoi valori del “Yerli ve Milli”, cioè del “Locale e Nazionale”, di persone pie devote all’islam sunnita e alla sua persona. 

 

Lo slogan di Erdogan nella sua campagna presidenziale è stato: “Türkiye Yüzyili”, il secolo della Turchia. Erdogan ha preferito per questo l’alleanza con il nazionalismo estremo. E ora la sua coalizione, denominata Alleanza del popolo, è la più radicale espressione dell’estrema destra nazionalista e dell’islamismo turco della storia repubblicana. Con la visione della nuova Turchia Erdogan vuole recuperare quegli elementi che rappresentano le radici dell’identità turco-islamica che la rivoluzione kemalista aveva represso, cancellato, introducendo valori che il presidente ritiene importati, estranei alla cultura turca e che dunque dovrebbero essere soppiantati da quelli locali e nazionali. 

 

I consiglieri di Erdogan che hanno ispirato questa visione sono persone come Mustafa Sentop, accademico di prestigio, che nel formulare la riforma presidenziale “dell’uomo solo al comando” si ispirò a modelli di regimi forti come quelli centroasiatici, modelli ai quali Erdogan si è sempre sentito più vicino rispetto a quelli occidentali, per i quali tutta la società e le istituzioni lavorano per far assurgere il paese al ruolo di grande potenza regionale e globale, per renderlo una superpotenza economica-commerciale, militare e tecnologica.

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