attorno al Cremlino

Perché Putin è così calmo quando parla dei droni su Mosca

Ora che la guerra è in casa davvero, tra le incursioni a Belgorod, gli incendi e attacchi espliciti, l'apatia russa nei confronti del conflitto potrebbe tradursi in qualcosa di più attivo

Micol Flammini

Il presidente russo ha commentato l'attacco sulla capitale come se parlasse di una partita di calcio. Ora che la guerra ha un suono anche in Russia, pensa che sarà più semplice chiedere ai cittadini privazioni, mobilitazioni e isolamento

Mosca si può colpire. Mosca si deve colpire. I sabotaggi, i droni sul Cremlino, le incursioni, gli incendi dei giorni scorsi in Russia  potevano servire a lanciare un messaggio a Vladimir Putin e a tutti i russi un avvertimento: non siete invulnerabili. Lo sciame di droni lanciato su Mosca – il governo di Kyiv non ha rivendicato l’attacco, come di consueto – vuol dire qualcosa in più: la guerra è arrivata anche da voi. A gennaio sui principali palazzi della capitale russa erano stati montati dei sistemi di difesa Pantsir, c’era il Natale ortodosso, le feste, la tregua proposta da Vladimir Putin per riorganizzare l’esercito, e i missili puntati contro il cielo   sembravano un messaggio del Cremlino per rassicurare i russi, per mostrare che le difese di Mosca sono pronte a tutto.  Era una misura nata da un misto di prudenza e messa in scena, invece oggi contro lo sciame di droni – otto, secondo il sindaco Sergei Sobyanin, più di trenta secondo altre fonti, alcuni hanno sorvolato anche il quartiere chiamato Rublëvka dove vivono molte persone importanti – i Pantsir sono entrati in azione davvero. Vladimir Putin ha rilasciato una breve intervista al canale Rossija 24, e le sue prime parole sono state dedicate proprio alle difese di Mosca, ha detto che hanno fatto un buon lavoro, ma ci sono cose su cui lavorare. Con calma ha enunciato le virtù del popolo russo, prima tra tutte la pazienza, inclusa quella che i cittadini hanno dimostrato nei confronti dell’occidente e della stessa Ucraina. Si è preso qualche minuto per raccontare di come, incomprensibilmente, le strade di due nazioni sorelle, come Russia e Ucraina, si sono allontanate e di quanto ormai sia chiaro che a Mosca non rimanga altra scelta che reagire. Ha ribaltato la situazione: non è Kyiv che ora colpisce la Russia per ritorsione ai bombardamenti che vanno avanti da quindici mesi e per gli ultimi giorni insonni con le urla delle sirene nelle orecchie, è Mosca che dovrà rispondere. Era tranquillo Putin, durante l’intervista oscillava come suo solito sulle punte, non ha fatto minacce nucleari, e ha continuato a ribaltare ancora il ribaltabile: la Russia colpisce i centri del potere ucraino e questo fa infuriare Kyiv. 

 

Era dal 1942 che Mosca non utilizzava le sue difese antimissile, eppure oggi Putin non ha spostato nessun impegno, ha anche parlato di videogiochi e ha scherzato sul fatto che, così impegnato, può dilettarvisi soltanto durante il tempo libero, quindi mai. I canali che prendono istruzioni dal Cremlino prima di parlare non dicevano di essere sotto attacco, anzi i telegiornali e gli ospiti negli studi televisivi si lanciavano in tranquille analisi su cosa c’è da migliorare nel sistema di difesa russo, quasi che i droni arrivati sulle loro teste senza essere intercettati non fossero nulla di eccezionale. Soltanto Evgeni Prigozhin, il capo del gruppo Wagner, in un video ha accusato il ministero della Difesa, perché non è normale che uno sciame di droni arrivi indisturbato fino alla capitale. Prigozhin ha usato il tono infuriato di sempre: “Bestie disgustose cosa state facendo? Alzate il culo dagli uffici da cui dovreste proteggere il paese… come cittadino sono profondamente indignato, questi stronzi se ne stanno tranquillamente seduti con i loro culi grassi imbrattati di creme costose. Le persone hanno tutto il diritto di chiedere a questi bastardi una resa dei conti”. I cittadini per il momento non chiedono nessuna resa dei conti, e Putin sembra convinto che non la chiederanno. Il significato militare dei droni ucraini su Mosca è chiaro e sicuramente di successo, perché costringerà la Russia a difendere il suo territorio spostando risorse che impiega invece in Ucraina. Più imprevedibile potrebbe essere invece l’impatto politico e sociale.

 

Se Putin oggi parlava dell’attacco come se stesse commentando i risultati buoni ma non brillanti della Nazionale russa, è perché sa che  può  stringere i russi attorno alle istituzioni, alla sua presidenza, alla sua calma che deve sforzarsi di mantenere. Aveva promesso che la guerra non sarebbe arrivata in casa, ma ha infranto questo patto già con la prima mobilitazione. Ora che la guerra è in casa davvero, tra le incursioni a Belgorod, gli incendi e i droni così espliciti, l’apatia russa nei confronti del conflitto potrebbe invece tradursi in qualcosa di più attivo: in adesione alla causa. Da oggi la guerra ha delle immagini chiare anche per i russi e spiegare una futura mobilitazione,  di cui il Cremlino ha certamente bisogno perché non intende lasciare in pace l’Ucraina, sarà giustificabile con la necessità di difesa. E’ una campagna iniziata da tempo. L’operazione militare speciale avviata per liberare gli ucraini dai nazisti e  preservare la Russia prima che sia in pericolo è ormai lontana, si è evoluta in guerra esistenziale contro l’occidente, ora Putin può venderla come una necessità. 

 

Margarita Simonyan, direttrice di Rt, ha chiamato lo sciame di droni un “attacco di panico”, ha scritto un lungo post per raccontare quanto i russi avessero reagito con calma, quanto queste azioni siano solo un tentativo di far arrabbiare la Russia. Scrive che non ci riusciranno. Racconta tutto questo mentre è nel traffico di Mosca e dal suo finestrino vede: ragazze, ragazzi, caffè aperti, fiori. Una capitale descritta come idilliaca, un paradiso. Così diverso da quello che le tre sorelle di Cechov desideravano a tal punto che a ogni loro pensiero sospiravano: “A Mosca, a Mosca!”. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)