Diritti umani e guerra in Yemen
Anche l'Italia torna a vendere bombe e missili all'Arabia Saudita
Il governo dà il via libera in Cdm. Ricomincia la diplomazia delle armi dell'Europa con il Golfo, mentre negli Stati Uniti in molti si chiedono: ce ne pentiremo?
I missili e le bombe di fabbricazione italiana potranno essere di nuovo venduti all’Arabia Saudita. Il Consiglio dei ministri di mercoledì scorso ha rimosso il blocco alle esportazioni che era stato sancito nel 2021 per arginare l’impiego delle armi italiane nella guerra in Yemen. “Le motivazioni alla base di tali provvedimenti sono oggi venute meno”, fa sapere una nota del governo, perché da aprile del 2022 il blocco delle monarchie sunnite da una parte e gli Houti filoiraniani dall’altra hanno siglato un cessate il fuoco mediato dall’Onu che ha fermato il disastro umanitario in Yemen. Una decisione analoga era già stata presa dal nostro governo lo scorso aprile e aveva autorizzato la ripresa delle esportazioni di armi negli Emirati Arabi Uniti, anch’essi coinvolti nella guerra. Secondo la Rete italiana per la pace e il disarmo, l’embargo nei confronti di Riad ha impedito la vendita di quasi 13 mila missili italiani che facevano parte di un accordo più ampio siglato nel 2016 dal governo guidato all’epoca da Matteo Renzi. La transazione prevedeva introiti per 400 milioni di euro, parte dei quali sono rimasti congelati in questi anni per il blocco delle esportazioni deciso dall’esecutivo di Giuseppe Conte. L’annuncio delle misure restrittive contro Riad divenne un caso di politica interna, perché mentre l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio, diventato oggi Inviato speciale dell’Ue nel Golfo Persico, annunciava l’embargo, Renzi aveva invece partecipato a un incontro a Riad con il principe ereditario Mohammad bin Salman e aveva parlato di un “nuovo Rinascimento” in corso nel regno, scatenando l’indignazione degli attivisti per i diritti umani.
Le beghe politiche interne sono ormai superate e oggi il riavvicinamento fra l’Italia e le monarchie del Golfo procede spedito. Oltre alla visita ufficiale dello scorso marzo di Giorgia Meloni e Guido Crosetto negli Emirati Arabi Uniti, a febbraio la premier ha avuto un colloquio telefonico con Bin Salman per ribadire la necessità di “stabilità e cooperazione in materia di sicurezza energetica, investimenti e diritti umani”. Una stabilità che passa per l’industria della Difesa. Lo hanno capito da tempo anche altri paesi europei. Per esempio la Germania. Impegnato nella ricerca di fonti energetiche alternative a quelle russe, lo scorso settembre il cancelliere Olaf Scholz diede il via libera in fretta e furia a una serie di accordi per la vendita di armi ai sauditi proprio il giorno prima di recarsi in visita a Riad, suscitando l’indignazione dei movimenti pacifisti.
Dopo l’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, il dossier sulle violazioni dei diritti umani nel regno di Bin Salman resta il principale motivo di imbarazzo nelle relazioni fra l’occidente e i sauditi. Se nel Regno Unito la vendita di armi a Riad è stata bloccata da un ricorso presentato da un gruppo di attivisti, anche negli Stati Uniti aumenta il fronte di chi vorrebbe depotenziare la cooperazione con il regno del Golfo. A marzo, una risoluzione bipartisan del Congresso americano ha chiesto che il dipartimento di stato producesse un report sulle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita e sulla guerra in Yemen. In base a queste indagini, il Congresso potrebbe votare l’interruzione alla vendita di armi a Riad. Una fermezza che la Casa Bianca vede con preoccupazione, in particolare adesso che la guerra in Ucraina ha accelerato la crisi fra le monarchie sunnite e gli Stati Uniti e che l’influenza cinese nella regione è riuscita invece nell’impresa di fare tornare a dialogare Iran e Arabia Saudita. Per Biden, l’obiettivo principale in medio oriente oggi è mediare un altro accordo storico, quello per normalizzare le relazioni diplomatiche fra Arabia Saudita e Israele. Riad si dice disponibile, ma a condizione che gli americani aumentino i loro sforzi nella cooperazione militare e nucleare. Un voto del Congresso in direzione opposta rischierebbe di fare saltare tutto, lasciando passare l’idea che oggi solo i cinesi siano in grado di far fare la pace in medio oriente.