la frontiera

Al confine è guerra, ma Putin parla di destabilizzazione

Micol Flammini

Il presidente usa la strategia dell'assuefazione, aspetta che il conflitto diventi sottofondo e scivoli via dall'attenzione dei russi. Le lamentele e la paura dei cittadini a Belgorod

Più che guardare la linea di avanzamento delle truppe russe in Ucraina, è un’altra la mappa che i russi iniziano a cercare  con insistenza e non sempre trovano: quella che mostra gli attacchi nel territorio della Federazione russa. Quasi ogni sito di notizie ne ha una, non molto in evidenza, ma tutte mostrano che le regioni russe che sono al confine con l’Ucraina sono state colpite: Bryansk, Kursk, Belgorod, Rostov sul Don, e via via anche le più lontane. Il governatore di Belgorod, finora la più colpita, ha detto che ieri due donne sono morte, e aumentano le persone che scelgono di lasciare le zone di confine. Da Shebekino, una cittadina abituata agli scambi frequenti con l’Ucraina, più di duemila persone se ne sono andate. Non è nulla rispetto a quello che subisce Kyiv. Mancano verifiche sul posto, ci si basa sulle immagini che arrivano spesso via Telegram e sulle dichiarazioni dei governatori. Il più loquace è Vyacheslav Gladkov, a capo dell’amministrazione di Belgorod. Comunica cifre, mostra immagini, ma non chiede mai l’aiuto del Cremlino. E’ un uomo di Russia unita, il partito di Vladimir Putin, e in passato per conto del Cremlino ha svolto anche missioni importanti. Nel 2016 è stato il vicegovernatore di Sebastopoli nella Crimea occupata dai russi, dove ha avuto anche il compito di organizzare la campagna elettorale di Putin, che, a detta del Cremlino,  fu un successo. Il presidente tiene Gladkov in considerazione, nel 2020 lo nominò per decreto governatore di Belgorod, oggi un compito non facile, ma può contare su un  fedelissimo in una regione  che ha molti motivi per ribellarsi. 

 

Le carenze della difesa russa al confine sono evidenti, i cittadini, contattati da vari media indipendenti russi, hanno detto che non sanno dove andare, non ci sono rifugi, quando iniziano le esplosioni aspettano, vedono i vetri infrangersi, ma non sanno dove scappare. Raccontano che sono mesi che chiedono aiuto alle autorità locali e a quelle di Mosca, che invitano i giornalisti delle trasmissioni più viste a seguire la situazione al confine. Non hanno ottenuto risposta. I numeri del centralino per ricevere le istruzioni su come comportarsi, dove rifugiarsi, come trasportare i civili in difficoltà spesso non funzionano. Tutti si pongono una domanda: come mai non si vede nessuno a difendere la popolazione? 

 

In Russia è guerra conclamata, ma Mosca non ha un piano. Ieri ha subìto un colpo duro anche nelle zone occupate, dove è stato colpito il porto di Berdyansk, sul Mare d’Azov. Vladimir Putin ha avuto un incontro con il Consiglio di sicurezza e ha detto che bisogna stare attenti ai tentativi di destabilizzazione della Russia, ai nemici dello stato. Il presidente, che un anno fa digrignava i denti parlando della necessità di liberare l’Ucraina dai nazisti,   da quando gli attacchi in Russia si sono fatti frequenti e spettacolari, è impegnato nella missione di calmare, di sedare l’allarmismo. Sorride molto. Attende, bombarda Kyiv, usa la stessa strategia da un anno: aspetta che la guerra diventi sottofondo. Le notizie di palazzi in fumo, di incursioni al confine, di file di evacuati dovrebbero essere in apertura di tutti i giornali russi, dei notiziari, dovrebbero essere l’argomento principale di ogni talk di propaganda. Una guerra è iniziata dentro la Russia e non se ne parla granché, la notizia sfuma, si affaccia tra un impegno istituzionale del presidente e l’altro, quasi dovesse scivolare via dall’attenzione dei russi. 

 

La strategia dell’assuefazione al conflitto che il Cremlino sperava di utilizzare con l’occidente, in attesa che si stancasse di aiutare Kyiv, ora la usa in casa. Il fumo di Belgorod deve confondere e non allarmare. E’ dentro la Russia, ma appartiene ad altri.  

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)