Il voto a Bruxelles
L'Italia dà l'ok sui migranti, ma la responsabilità resta ai paesi di primo ingresso
Il nuovo testo del Patto europeo è stato approvato con la maggioranza qualificata e l’appoggio del governo italiano. Ma manca un equilibrio nella solidarietà agli stati più esposti
Bruxelles. L’Italia ieri ha accettato di votare a favore di un brutto nuovo Patto su migrazione e asilo, consentendo ai governi dell’Unione europea di avviare le trattative con il Parlamento europeo per trovare un’intesa sulle nuove regole che dovrebbero sostituire Dublino. Le ragioni per cui il compromesso è brutto le ha spiegate il ministro Matteo Piantedosi nel suo primo intervento durante il Consiglio Affari Interni a Lussemburgo: “Non possiamo proporre una riforma che nei fatti sarebbe destinata a fallire”. I negoziati sono stati lunghi per i dubbi italiani. L’Italia ha ottenuto alcune concessioni che le permetteranno di applicare le nuove regole in modo più flessibile e graduale. Alla fine Piantedosi ha votato a favore. Il testo è stato approvato con la maggioranza qualificata. Ma, alla ricerca di un equilibrio tra solidarietà e responsabilità, il compromesso pende troppo verso la responsabilità dei paesi di primo ingresso. Il problema di fondo è la principale misura del Patto su migrazione e asilo: tutti i paesi di primo ingresso saranno chiamati a creare dei centri chiusi, sul modello di quelli introdotti nelle isole della Grecia nel 2016, dove trattenere i migranti in attesa di una decisione sulla richiesta di asilo o del rimpatrio. In assenza di ricollocamenti obbligatori tra gli stati membri e di un sistema di rimpatri funzionante, un afflusso massiccio costringerà i paesi di primo ingresso a smettere di applicare le nuove regole, provocando il collasso del Patto, oppure a farsi sommergere, con conseguenze politiche interne.
Dietro l’espressione “procedura di frontiera”, che è la principale novità e l’architrave del nuovo Patto su migrazione e asilo, si nasconde il modello isole in Grecia. Ciascun migrante che entra nell’Ue in modo irregolare, oltre a essere registrato, dovrà restare in un centro chiuso, in attesa di sapere se avrà l’asilo o sarà rimpatriato. La procedura di frontiera dovrebbe durare 12 settimane (16 in casi eccezionali), compresi ricorsi. L’obiettivo è impedire la fuga di migranti verso altri stati membri dell’Ue con i movimenti secondari. La responsabilità dei paesi di primo ingresso viene rafforzata con altre disposizioni. Per contro, sulla solidarietà il nuovo Patto è carente. I ricollocamenti dei richiedenti asilo non saranno obbligatori. I paesi che non accetteranno la redistribuzione dei migranti dovranno pagare 20 mila euro di compensazione finanziaria. Lo stesso Piantedosi ha ammesso di “nutrire forti dubbi sul funzionamento pratico del sistema dei ricollocamenti, incluse le compensazioni finanziarie, visto che finora non hanno funzionato”.
Per dare il via libera al compromesso l’Italia ha ottenuto diverse concessioni. La prima è politica: il viaggio di domenica a Tunisi di Giorgia Meloni con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e il premier olandese, Mark Rutte. A Lussemburgo Piantedosi è riuscito ad abbassare il periodo di responsabilità sui migranti salvati in mare da 24 a 12 mesi (come con le regole attuali di Dublino). L’Italia ha ottenuto più flessibilità e gradualità sulle procedure di frontiera, e una clausola di revisione dopo un anno. Ma la nuova “Europa fortezza” dovrà essere protetta dai paesi di primo ingresso. Bloccare le partenze o rimpatriare tutti quelli che non hanno diritto all’asilo è impossibile. Con le nuove regole, si dovrebbe chiudere la valvola di sfogo dei movimenti secondari. Questa è la priorità dei paesi del nord, che si ritrovano con un numero di richiedenti asilo molto più alto rispetto ai paesi del sud. Senza il nuovo Patto, “si mette in pericolo lo spazio Schengen” e “si arriverà alla chiusura delle frontiere nazionali”, ha avvertito il ministro tedesco dell’Interno, Nancy Faeser.