le ultime parole

Orlov, Kara-Murza, Yashin e gli altri. Il tribunale dei dissidenti russi

Micol Flammini

I momenti prima della condanna usati per lanciare messaggi alla Russia e al mondo. Tutti con un sorriso che ispira speranza e una promessa: il regime non durerà per sempre

Oleg Orlov è arrivato in tribunale con una valigetta. Con un sorriso ironico e una leggerezza che cozzava con i colori freddi della stanza attorno a sé. Poi  ha tirato fuori un libro: “La fine del regime” di Aleksander Baunov. Orlov è un biologo russo, difensore dei diritti umani e copresidente del gruppo Memorial, l’associazione bandita in Russia, insignita del Nobel per la Pace, creata in un’epoca in cui parlare dei crimini del passato era visto come il passo necessario per la costruzione della democrazia russa. Orlov è entrato in tribunale perché ha criticato l’aggressione  contro l’Ucraina e rischia fino a cinque anni di carcere. A favore di telecamere ha detto, mettendo il libro in bella vista: “E’ un buon libro, consiglio di leggerlo, riguarda la fine dei regimi totalitari e fascisti”. Orlov ha contestato tutte e due le guerre del Cremlino: quella contro Kyiv e quella contro i cittadini russi.  

 

 

Nulla di ciò che la guerra sta provocando, fuori e dentro, è a favore della Russia: le sanzioni, l’isolamento, la repressione. Il Cremlino parla di patriottismo, uccide gli ucraini e danneggia anche i russi.  Orlov è accusato di aver screditato l’esercito russo criticando la guerra, l’articolo secondo il quale viene processato è “Azioni pubbliche volte a screditare l’uso delle forze armate russe per proteggere gli interessi della Federazione russa e dei suoi cittadini e preservare la pace e la sicurezza internazionale”. In pratica: è sceso in strada con dei cartelli contro la guerra. La condanna è quasi certa, l’articolo è contro la Costituzione, che invece garantisce la libertà di parola, ed è simile ad altri, in base ai quali sono stati incarcerati altri dissidenti russi, tutti colpevoli di essersi espressi contro la guerra, quindi a favore del futuro della Russia. 

 

Tutti gli oppositori del Cremlino imprigionati nell’ultimo anno, proprio come Orlov, hanno usato l’ultima udienza in tribunale per mandare dei messaggi, per disegnare il futuro di una nazione prima che tracolli, per promettere  che le cose cambieranno. Tutti sono consapevoli che le condanne hanno l’obiettivo di silenziarli, di nasconderli agli occhi e alle orecchie dei russi, il tribunale diventa quindi il posto in cui lasciare l’ultimo messaggio. Prima di Orlov, anche Vladimir Kara-Murza –  il politico e collaboratore di Boris Nemtsov, tornato in Russia  proprio con l’intenzione di protestare contro la guerra – e Ilja Yashinaltro oppositore del Cremlino contrario all’invasione – hanno usato l’aula del tribunale per lasciare il loro messaggio rivolto alla Russia che verrà.  

 

Dal momento in cui entrano in prigione, queste persone sanno che la loro voce non arriverà più e  quello davanti alla condanna, è l’ultimo momento a microfoni accesi. Quel che colpisce è che tutti, pur andando verso una severa detenzione e verso il nulla, parlano del futuro. Tutti sono convinti che il regime, come dice il libro portato in tribunale da Orlov, non durerà per sempre. Poi bisognerà ricostruire e loro sono pronti, sono  fiduciosi, sono sicuri anche che non verranno soffocati dal silenzio delle carceri russe. Tradimento, terrorismo, calunnia sono le accuse più comuni contro i dissidenti, che sono scienziati, politici, registi, scrittori o professori che si sono rifiutati di trasformare le loro lezioni in momenti di propaganda di guerra. Sono anche la classe dirigente della Russia che, con loro in prigione, sta perdendo anche le menti più illuminate, quelle che potrebbero portare il cambiamento. Gli altri sono all’estero, in un esilio autoimposto, poco coordinati, ognuno con le sue idee di come trasformare il paese. La Russia immensa e vuota ha le sue prigioni piene di idee e i suoi tribunali sono teatri di messaggi di speranza, della proiezione di un paese che non esiste, ma che secondo loro, nonostante in pochi dall’estero ci credono, può ancora essere costruita da zero. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)