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Westminster in love

L'ultimo scandalo rinverdisce una tradizione del Parlamento inglese. La lunga lista dei porcelloni

Alberto Mattioli

L'ultimo sex-gate della politica britannica questa volta tocca a un laburista. Ma da Profumo in poi, nelle stanze del potere londinese c'è una lunga tradizione di scandali (su cui si è molto romanzato, anche in tv)

In un Regno ossessionato dalle tradizioni come quello Unito, ce n’è una che viene accuratamente proseguita e perseguita: lo scandalo sessuale che travolge il politico di turno. La novità, semmai, è che l’ultimo in ordine in tempo tocca a un laburista, mentre finora erano i conservatori a risultare più porcelloni (con una significativa presenza anche di liberaldemocratici, però: sulle strade del peccato c’è posto anche per il terzo polo; anzi, si direbbe, solo lì). Sessant’anni dopo lo scandalo Profumo, il reprobo di turno si chiama Geraint Davies, a Westminster dal 1997, dal 2010 deputato di Swansea, in Galles, e infatti presidente ad interim di una commissione che si occupa di affari gallesi il cui precedente presidente, il conservatore Neil Parish, il dettaglio è delizioso, si era dovuto dimettere perché beccato a guardare video porno nelle sacre aule della madre di tutti i parlamenti. Davies è accusato da sei donne, due delle quali hanno sporto effettivamente denuncia. Lo scoop l’ha fatto il tosto sito Politico.eu e l’accusa è di “attenzioni sessuali indesiderate, sia fisiche che verbali”.

 

Sono molestie, non violenze, e tutte, sempre come da tradizione, sotto l’effetto di qualche bicchiere di troppo. Una delle vittime lamenta che, al termine di una lunga riunione, Davies le abbia messo una mano sulla vita dicendole: “Sono contento che possiamo andare a casa”. Un’altra, che Davies le si sia seduto accanto e abbia premuto troppo a lungo la gamba contro la sua. Un’altra ancora, che il presunto molestatore le abbia detto “hai un buon profumo” e “sei la persona preferita accanto a cui sedermi”. Pare addirittura che il vispo gallese abbia fatto l’occhiolino e mandato salaci messaggi sul telefonino. Niente di gravissimo, si direbbe, ma che in epoca di #MeToo lo diventa. Non solo: proprio per il moltiplicarsi degli scandali, Westminster ha adottato nel 2018 un codice di condotta assai severo sulla “sexual misconduct”, il che non impedisce che i giornali infieriscano su “Pestminster”, dipinta come una specie di Sodoma e Gomorra dove il vizio si sfrena e i rappresentanti del popolo toccano ginocchia muliebri come se non ci fosse un domani, o almeno una morale.

 

Lui, il Davies, 63 anni, respinge le accuse ma si scusa: “Se ho inavvertitamente offeso qualcuno, allora sono naturalmente dispiaciuto”. Troppo poco e troppo tardi, al solito: è già stato sospeso dalla sua carica di “whip”, in Italia si direbbe capogruppo e in effetti lo è, ma la traduzione letterale è “frusta”, insomma quello che tiene a bada la ciurma dei peones, e con modi non teneri (però, dati i guai dell’ex frusta, in questo caso il termine potrebbe anche alludere a bizzarre pratiche sessuali tradizionalmente amate dall’upper class britannica, chissà, forse un retaggio delle punizioni corporali cui ai bei tempi erano sottoposti i futuri costruttori dell’Impero). L’impressione generale, però, è che quello di Davies fosse un “open secret”, e stavolta è migliore l’espressione italiana: un segreto di Pulcinella. Insomma, tutti sapevano e nessuno ha detto né fatto nulla. Tanto che Keir Starmer, il leader del partito, dall’alto dei sondaggi che lo danno in enorme vantaggio sui conservatori, ha dovuto intervenire invitando a “farsi avanti chiunque abbia preoccupazioni, accuse o informazioni”, iniziativa peraltro pericolosa perché si sa come questi scandali iniziano ma non come vanno a finire, e fra la cacciata dei colpevoli e la caccia alle streghe i confini sono labili.

 

Questa degli scandali sessuali applicati alla politica resta in ogni caso una specialità squisitamente britannica, come il Pimm’s, Ascot, la Monarchia, i taxi comodi e Shakespeare recitato con l’accento giusto. Non si capisce davvero perché. L’etica puritana è scomparsa da un pezzo, la morale vittoriana pure, l’omosessualità è stata depenalizzata da sei decenni, e qualsiasi ragazzotto italiano mandato a Londra a imparare l’inglese sa che gli usi e costumi sessuali della popolazione sono tutt’altro che repressi. Nonostante tutte le commedie rosa degli anni Novanta, quelle con Hugh Grant che fa l’imbranato ma alla fine si fidanza (però commise atti osceni in luogo pubblico anche lui, a ben pensarci, ma nella peccaminosa Hollywood), resta magari una certa aridità sentimentale, che però ha poco a che vedere con queste più fisiche vicende, dove pare nessuno resti a lungo con le mani in mano. Molto sesso, siamo inglesi: eppure, la riprovazione resta. In Francia, nessuno si indigna se un potente si fa l’amante, secondo una lunga e consolidata tradizione che risale all’ancien régime; semmai, si stupisce che non l’abbia. E, al massimo, ci si diverte e si spettegola per le foto di François Hollande che esce dall’Eliseo in scooter per andarla a trovare. Dall’altra parte della Manica, invece, ogni volta è un putiferio. Vero è che le  vicende si susseguono con una tale rapidità che non si fa in tempo ad archiviarne una, tantomeno a dimenticarla, che i tabloid te ne servono calda un’altra. Come dimenticare l’affaire di Chris Pincher, anche lui frusta ma tory, che l’anno scorso uscì sbronzo da un club per gentlemen e palpeggiò due uomini che passavano di lì, uno dei quali, per inciso, era un parlamentare. La vicenda diede il colpo di grazia alla traballante leadership di Boris Johnson, già minata dal “party gate”, le festicciole organizzate a Downing street in violazione delle norme anti Covid e, magari, anche del fatto che all’epoca non ci fosse proprio nulla da festeggiare. Su Pincher c’erano molti sospetti per molestie pregresse: BoJo prima disse di esserne stato al corrente ma di averli dimenticati, poi dovette ammettere di sapere, che aver mantenuto Pincher nel gabinetto era stato “un errore”, e scusarsi. Ma nel frattempo un ex consigliere di BoJo, Dominic Cummings, aveva spifferato che il premier era solito riferirsi al caro Chris come “Pincher di nome, Pincher di natura”, dal verbo “to pinch” che significa anche dare pizzicotti e palpare. Due ministri, quello della Sanità, Sajid Javid e il cancelliere dello Scacchiere e attuale premier, Rishi Sunak, si dimisero, dando il colpo di grazia a un governo agonizzante. Che un certo sessismo, a “Pestminster”, resista e persista è dimostrato dal caso della laburista Angela Rayner, accusata da un tory rimasto fortunatamente (per lui) anonimo di accavallare e scavallare le gambe in aula, tipo Sharon Stone in Basic Instinct, per distrarre il premier e fargli perdere il filo della sua travolgente retorica: “Sa che non può competere con le abilità oratorie di Boris Johnson, ma possiede altre competenze che lui invece non ha”, questo il messaggio, che volgarità. Lo stesso BoJo provvide a cinguettare le scuse alla Rayner: “La rispetto come parlamentare e deploro gli attacchi misogini che ha subito”. 

 

Però non c’è primo ministro che, prima o poi, non paghi il fio di qualche scorrettezza sessuale sua o di un suo fido. L’unica che ne è stata esente è la povera Liz Truss, ma soltanto perché è durata davvero troppo poco. A Theresa May toccò gestire le dimissioni del suo ministro della Difesa, Michael Fallon, accusato di aver molestato una giornalista della radio, Julia Hartley-Brewer. Damian Green, “First secretary of State”, fu accusato di palpeggiamenti e, anche lui, di aver guardato dei porno, fatti suoi, ma su un pc statale, fatti dei contribuenti. Nel frattempo, il sottosegretario al Commercio estero, Mark Garnier, spediva la segretaria Caroline Edmondson ad acquistare vibratori nei sex shop di Soho (lui restava fuori a vedere le vetrine), oltre a gratificarla dell’appellativo “tette di zucchero”. Nel 2004, era toccato anche a Boris Johnson, all’epoca ministro ombra della Cultura: i tabloid scoprirono che, benché sposato e con un poker di figli, aveva una relazione con Petronella Wyatt, giornalista dello Spectator, che per qualcuno che si occupa di cultura è certo una scelta molto appropriata. BoJo fu cacciato dal partito e poi riammesso, e il resto è storia. Relazione clandestina anche per John Prescott, laburista e fedelissimo di Tony Blair, all’epoca (2006) ancora primo ministro: nel più classico dei modi, l’amante era la segretaria, Tracey Temple. Prescott dovette ammettere, scusarsi e annunciare che la moglie Pauline era “distrutta dalle notizie che ha appreso dai giornali”. Perfino il grigissimo John Major, il premier conservatore che successe alla Thatcher, il che è come mettersi a martellare il marmo subito dopo Michelangelo, ebbe una storia segreta con una collega parlamentare, Edwina Currie, “la donna più affascinante della sua generazione politica”, a detta dell’Independent. La love story durò quattro anni, dal 1984 all’88, due anni prima che Major entrasse al Number 10, nessuno la scoprì e fu rivelata dalla stessa Currie soltanto nel 2002. E bravo Major: “nisi caste, tamen caute”, come ammoniva Santa Romana Chiesa nella sua millenaria saggezza. Da premier, Major dovette gestire la grana di David Mellor, tory emergente, cui nel 1992 era stato attribuito il nuovo ministero del National Heritage che riuniva le competenze per cultura, digitale, media e sport. Ci rimase pochissimo perché la sua amante, la spagnola Antonia de Sancha, attrice per mancanza di parti come la chiamerebbe Dagospia, vendette a un giornale, per 35 mila sterline, la notizia della loro relazione, con tanto di registrazione delle telefonate appassionate di Mellor. I sudditi appresero così che un ministro di Sua Maestà adorava le dita dei piedi femminili (sui tabloid, Mellor divenne immediatamente “il succhiapollici”) e, nei momenti di maggior passione, era solito indossare una maglia del Chelsea. “Non ne siamo affatto divertite”, avrebbe commentato gelida la Regina Vittoria (da vegliarda sommersa di gramaglie vedovili, però; da giovine, era vivace pure lei, come i diari testimoniano). Quanto alla Thatcher, nel 1983 scoprì a mezzo stampa che il ministro dell’Industria e suo delfino, Cecil Parkinson, non solo aveva un love affair con la solita segretaria, ma aspettava pure un bambino. Indi dimissioni, ma per Parkinson il purgatorio durò solo quattro anni. Nell’87 era di nuovo nel paradiso governativo, prima all’Energia e poi ai Trasporti.

 

Si diceva che anche i liberaldemocratici, in materia, non si fanno mancare nulla. Scarseggiano i voti, non gli scandali. Paddy Ashdown, leader whig, divenne “Paddy Pantsdown”, Paddy con le mutande abbassate, dopo che il News of the World rivelò una sua relazione extraconiugale, indovinate con chi? ma sì, con la segretaria. Molto più succosa la storia di Jeremy Thorpe, a capo del partito dal 1967 al ’76, quindi in anni poco propizi ai liberali. Thorpe era sposato con una donna ma aveva un amante senza apostrofo, un modello, Norman Scott, che lo ricattava. Thorpe avrebbe allora architettato l’assassinio dell’amico, fortunatamente non riuscito. O almeno questa era l’accusa di Scott, ma al processo Thorpe fu assolto. La sua carriera politica, ovvio, finì lì. Sulla vicenda la Bbc realizzò pure una miniserie nel 2018, A very english scandal, diretta da Stephen Frears, nientemeno, con Hugh Grant nei panni del politico sessualmente troppo liberale.

 

Insomma, la tradizione del potente inglese moralista in pubblico e con gli slip al vento in privato non viene meno. Bisogna ammettere che nemmeno la famiglia reale dà l’esempio. Di Elisabetta II di gloriosa memoria e di suo marito Filippo molto si sussurrò ma nulla è mai stato dimostrato in maniera incontrovertibile. Le effusioni telefoniche dell’attuale grazioso Sovrano con Camilla, quando però lui era ancora sposato con Diana, e le sue variazioni sul tema degli assorbenti femminili sono storia. Il fratello Andrea, duca di York, ribattezzato duca di Pork, è diventato un fardello per il suo coinvolgimento nello scandalo Epstein. Una certa passione per gli alluci era già stata dimostrata a suo tempo dalla di lui ex moglie, Sarah Ferguson. Costei disgraziatamente si trovava a Balmoral quando sul Daily Mirror uscirono dieci pagine di fotografie del suo amante che glieli succhiava in Costa Azzurra. Fergie le scoprì a colazione insieme con il resto della Royal family e, donna di spirito, commentò così: “Il porridge si era fatto freddo”. Comunque di tutti i Windsor, che peraltro non si chiamavano ancora così, nessuno ricorda il più vispo. Si tratta ovviamente di Edoardo VII, successore di Vittoria e costretto ad aspettare a lungo un trono che non diventava mai vacante. Nell’attesa, sgavazzava per lo più a Parigi o a Biarritz e riempiva di corna Alessandra di Danimarca, la moglie bella e simpatica: il più stabile dei suoi affetti fu miss Alice Keppel, trisnonna di Camilla, e qui davvero tout se tient. Bene: alla memorabile mostra sulla prostituzione parigina del 2016 alla Gare d’Orsay, allestita nientemeno che da Robert Carsen (delizia totale e assoluta, fra parentesi) uno dei pezzi forti era la speciale sedia, una via di mezzo fra un dondolo e una slitta, costruita appositamente per permettere a Edoardo di sollazzarsi con due fanciulle contemporaneamente. Questi politici sporcaccioni sono soltanto dei dilettanti. 

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