un italiano vero

Berlusconi, la Russia e l'amicizia con Putin, senza capirsi

I russi pensavano che l'Italia fosse come il Cav., e lo adoravano. Con il capo del Cremlino, credeva di allargare l'occidente, invece volevano cose opposte, come ha dimostrato la guerra in Ucraina. Ma non era il solo, con Bush e Merkel, dopo Pratica di Mare, a essere convinto di aver trovato il leader giusto. Tra feste, regali, ambizioni

Micol Flammini

Vladimir Putin ha definito Silvio Berlusconi “un vero amico”, lo ha descritto come  un politico di  quelli che non si trovano più,  con il pregio di essere sempre chiaro, originale, pronto a parlare liberamente. Anche per Berlusconi il presidente russo era un amico, e il rapporto era stretto, frequente, pubblico. L’ultima volta che Putin è venuto in Italia era il 2019, c’era Giuseppe Conte alla presidenza  del Consiglio, e il capo del Cremlino insistette per  incontrare Berlusconi: era arrivato in ritardo all’appuntamento con il Papa, in ritardo a quello con Conte, arrivò in tempo all’aeroporto  di Fiumicino per Berlusconi. 

 

Non è facile riconoscere di avere per amico un autocrate, un criminale di guerra, anzi peggio, un ricercato internazionale. Non è facile smarcarsi dalla speranza di una Russia parte dell’occidente. E’ complesso riconoscere che al Cremlino non è affatto seduto un presidente pronto ad aprire la Russia al mondo. Ed è la fine di ogni illusione rendersi conto che la Guerra fredda che Berlusconi era sicuro di aver concluso a Pratica di Mare si era presa una pausa per diventare bollente in Ucraina. A Pratica di Mare, vicino Roma, alla base dell’Aeronautica militare, l’allora presidente del Consiglio aveva fatto stringere la mano al presidente americano George W. Bush e a  Putin. Lui, Berlusconi, aveva suggellato quel gesto con un sorriso enorme, mai Stati Uniti e Russia erano sembrati così vicini, così fiduciosi, come il 28 maggio del 2002, quando i leader firmarono il documento “Nato-Russia relations: a new quality”. Era stato memorabile quel giorno, diede inizio a delle frequentazioni assidue, Bush si convinse di aver colto l’anima di Putin, Berlusconi di aver allargato l’occidente. Era uno spirito condiviso da molti leader occidentali, approvato anche  dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Tutti iniziarono a costruire relazioni personali con il capo del Cremlino, Bush ballò assieme a lui al ritmo di canzoni popolari russe, con Laura Bush che rideva a crepapelle. Merkel veniva accolta a Sochi da fiori e cani che le incutevano timore.

 

Berlusconi invece con Putin creò un rapporto fatto sì di politica estera, ma anche di incontri informali, gite, colbacchi, feste di compleanno, regali spropositati e passeggiate a bordo della nave ammiraglia Moskva, affondata dagli ucraini lo scorso anno. La guerra russa contro l’Ucraina non ha soltanto svelato la brutalità di Putin – che Berlusconi, Bush e Merkel non avevano evidentemente colto – ma ha anche sancito la disfatta di Pratica di Mare, dell’apertura tra Russia e occidente, di tutto ciò che era stato salutato come un successo ed era soltanto un’illusione. Il leader di Forza Italia non ha riconosciuto il fallimento,  ha pronunciato parole che hanno fatto infuriare gli ucraini e gli europei, ma il suo partito non ha mai osteggiato la politica dei governi italiani volta a isolare Mosca. 

 

Nel comunicato inviato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, Putin ha scritto: “Sono stato letteralmente travolto dalla sua incredibile energia di vita, dal suo ottimismo e dal suo senso dell’umorismo. La sua scomparsa è una perdita irreparabile e un grande dolore”. I toni utilizzati dal capo del Cremlino sono intimi in modo insolito, ma condensano anche quello che Berlusconi è stato per la Russia. La notizia della morte del leader di Forza Italia era in apertura di tutti i siti di informazione russi, che davano l’annuncio senza fronzoli o giudizi. Berlusconi non piaceva soltanto a Putin, l’amico vero con il quale pensava di ridisegnare il mondo senza accorgersi che volevano cose opposte, ma piaceva anche parecchio ai russi proprio per le caratteristiche enunciate da Putin. Piaceva per l’energia, per la ricchezza fatta di gaudenza e colore, per i sorrisi così estesi che i politici russi fanno di rado. Piaceva perché restituiva quell’immagine dell’Italia che è esattamente come certi  russi pensano al nostro paese e che cercavano, prima della guerra, di esagerare nelle sfarzose e ridanciane feste televisive di Capodanno  in cui si cantavano canzoni italiane con  un’allegria sfacciata e deformante, un’energia caricaturale e debordante. 

Sappiamo com’è andata a finire: a Putin non piaceva l’occidente, gli piaceva Berlusconi. A Berlusconi non piaceva la Russia, ma ha creduto che Putin fosse l’uomo giusto per trasformarla. Forse erano amici, sicuramente non si erano capiti. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)