il conflitto

La strategia dei nervi: Mosca attacca la città di Zelensky, ma sono gli ucraini ad avere il controllo sulle emozioni

Micol Flammini

E’ da ottobre che la Russia tenta di stremare per costringere alla resa: Kyiv continua a puntare alla vittoria. Adesso è l’Ucraina ad affiancare alla controffensiva la guerra psicologica: i risultati sul Cremlino si vedono

Kryvyi Rih è la città natale del presidente ucraino e, prima che Volodymyr Zelensky arrivasse alla presidenza, era conosciuta per essere uno  dei  principali centri  del ferro dell’Ucraina, ospita l’impianto siderurgico di ArcelorMittal, e per la sua forma amena: lunghissima e strettissima. Kryvyi Rih è una lingua, progettata per permettere l’atterraggio degli aerei militari, e in questi mesi l’esercito di Mosca ha cercato di utilizzarla come ponte aereo. La città ha sempre saputo che per il Cremlino colpirla – e ancora prima occuparla – avrebbe avuto un significato particolarmente forte. I cittadini si sono sempre sentiti vulnerabili, vicini al nemico, esposti e anche fieri di esserlo. Ieri Mosca ha bombardato proprio Kryvyi Rih, il sindaco Oleksandr Vilkul ha detto che nessuno degli obiettivi colpiti aveva un valore militare, neppure gli edifici  nelle vicinanze lo avevano. Il bombardamento è stato martellante, lungo, sono morte undici persone e più di venti sono rimaste ferite. Sono stati colpiti condomini e magazzini, le difese aeree hanno abbattuto dieci missili da crociera su quattordici e uno dei quattro droni lanciati. 

 

Rispetto all’inizio della guerra l’Ucraina ha implementato e rafforzato la sua protezione contro i bombardamenti, prima i danni sarebbero stati ancora maggiori, ma non ha abbastanza difese per schierarne in abbondanza a protezione di ogni città:  la maggior parte è concentrata su Kyiv, la capitale alla quale il Cremlino non ha ancora rinunciato. Mosca non colpisce a casaccio, ha una sua strategia, colpire Kryvyi Rih serve a mettere pressione, a colpire indirettamente Zelensky che nella sua dichiarazione dopo l’attacco è stato attento a non dare soddisfazione a Mosca, ha reagito come reagisce sempre, senza particolari toni, senza far capire che i missili sulla sua città lo colpiscono più di quelli su tutte le altre. Ha detto: “Gli assassini russi continuano la loro guerra contro edifici residenziali, città ordinarie e persone. I terroristi non saranno mai perdonati e saranno ritenuti responsabili per ogni missile che lanciano!”. 

 

Da ottobre dello scorso anno, dopo che con una controffensiva famelica gli ucraini sono riusciti a cacciare gli occupanti dalla regione di Kharkiv, Mosca ha incominciato una campagna di bombardamenti a tappeto contro tutto il territorio dell’Ucraina, colpendo in modo particolare le infrastrutture energetiche. Con l’inverno in arrivo, l’Ucraina ha affrontato periodi di buio intenso e nella capitale Kyiv veniva utilizzata un’applicazione per indicare ai cittadini i  quartieri con la corrente elettrica e quelli al buio. L’Ucraina si è riempita di generatori per non spegnere le attività commerciali, power bank per far funzionare i telefoni, servizi internet che resistono  in caso di blackout per non rimanere senza connessione. L’obiettivo della Russia durante i bombardamenti contro la rete elettrica e idrica era di fiaccare la popolazione, portarla alla resa, spingerla a un livello insostenibile di disperazione da costringere il governo a trattare con Mosca. L’esercito russo ha cercato di sfinire i nervi degli ucraini con il freddo, il buio, le notti insonni, contando di avere l’inverno come alleato. L’inverno è passato, gli ucraini hanno iniziato a chiedere ancora di più la vittoria.   Nella regione di Kherson, parzialmente riconquistata dall’esercito di Kyiv a novembre, allagata con l’esplosione della diga di Nova Kakhovka, bombardata durante le operazioni di evacuazione, sono stati segnalati casi di colera. La situazione umanitaria è difficile, e Mosca spera che rallenti la controffensiva dell’esercito degli ucraini, che hanno detto di aver già riconquistato più di novanta chilometri quadrati nei territori occupati nella regione di Donetsk. 

 

Se Mosca i nervi li bombarda, cerca di portarli al cedimento con una pressione costante, gli ucraini hanno una strategia diversa che ben si semplifica con un modo di dire  che esiste  nella lingua russa: igrat’ na nervach. Il significato in italiano si potrebbe tradurre semplicemente con “innervosire”, ma l’accezione è diversa. Letteralmente vuol dire giocare con i nervi, suonarli, come se fossero corde tese di una chitarra. Il silenzio imposto dagli ucraini prima della controffensiva con una campagna piena di immagini di soldati con il dito vicino alla bocca e con lo slogan “i piani amano il silenzio” serve a questo: a creare attesa, ad allungare la consapevolezza dei russi che la controffensiva ci sarà e loro non sapranno quando esattamente, possono soltanto aspettare. Il video in cui il capo del Gur, l’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov, siede in silenzio e infine sorride ha lo stesso scopo: suonare i nervi tesi di Mosca.

 

 

L’Ucraina sa come fare, ha accompagnato le azioni di difesa militare e contrattacco con operazioni che mirano a indebolire la psicologia del nemico. I risultati ci sono già stati, si sono manifestati nelle crepe della leadership militare dell’esercito russo, nella lotta tra il ministero della Difesa e le truppe mercenarie della Wagner che, incapaci di stare dalla stessa parte, combattono ognuno per sé; nei cambi ai vertici dell’esercito fatti senza seguire i risultati sul campo ma la fedeltà; nella morte dei generali schierati  in battaglia, cosa  insolita per cariche così alte. Vladimir Putin, un tempo restio a parlare della sua “operazione militare speciale”, affronta l’argomento con sempre maggior frequenza,  ostentata tranquillità e fa l’elenco degli errori commessi in Ucraina. Ha riconosciuto l’inizio della controffensiva, ha detto che non ci sarà una nuova mobilitazione, ha indetto una nuova festa nazionale per il 21 novembre che diventerà il Giorno del giuramento militare, ha detto che la Russia “è una nazione mentre loro (gli ucraini) sono un regime” e trovandosi fianco a fianco con il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, non l’ha neppure guardato in faccia, dimostrando di non essere contento delle sue decisioni militari. Non lo licenzierà perché sarebbe come riconoscere un errore, cosa che Putin non fa, ma gli ucraini stanno stirando anche i nervi del presidente russo. Ora sono tesissimi. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)