Una vista aerea di Kherson (Roman Pilipey / Getty Images)

Il Piano Marshall per Kyiv

Quanto costa ricostruire l'Ucraina. I pregiudizi e gli asset russi

Paola Peduzzi

La strategia di Putin è annettere anche quel che non controlla e distruggere tutto quel che non riesce a conquistare. Il 10 settembre si vota nelle quattro regioni ucraine che la Russia dice di aver annesso

Il ministero della Difesa russo e l’Fsb, il servizio di sicurezza federale, hanno fissato le elezioni per il 10 settembre nelle quattro regioni ucraine che la Russia pretende di aver annesso ma che non controlla completamente – Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson. La dichiarazione è arrivata dalla commissione elettorale di Mosca e mostra l’approccio di Vladimir Putin alla questione territoriale: annettere anche quel che non controlla, distruggere tutto quel che non riesce a conquistare. A quasi sedici mesi dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, questo semplice e feroce paradigma putiniano si è mostrato in tutte le forme possibili, con la tentata avanzata via terra, con i bombardamenti incessanti dal cielo, i referendum farsa, le deportazioni e le tracce lasciate ovunque del passaggio russo. Come il messaggio riportato dal giornalista del New York Times Thomas Gibbons-Neff da una cittadina nell’est ucraino occupata dai russi lo scorso anno e poi liberata: “Non è un crimine di guerra se ci siamo divertiti”, ha lasciato scritto sul muro di un bar un soldato russo.

 

La città di Kherson è il simbolo di questo paradigma: qui avrebbe dovuto consumarsi l’unione di Putin con gli ucraini perché questa era una cittadina filorussa che gli strateghi del Cremlino prendevano come unità di misura della conquista dei cuori e delle menti degli ucraini; qui i russi sono arrivati, hanno occupato la città, hanno messo i cartelloni “Russia per sempre”, hanno organizzato un referendum farsa, sono scappati davanti alle forze di liberazione ucraine, e poi hanno adottato quel che i cittadini di Kherson chiamano la “strategia della terra bruciata”: se la Russia non può avere questa terra, non la deve avere nessuno. Oggi Kherson è bombe e fango, dopo che è esplosa la diga di Nova Kakhovka sul fiume Dnipro, il 6 giugno scorso. L’acqua si sta ritirando, gli aiuti, i soccorsi e le evacuazioni continuano, i danni e i corpi emergono.

 

Mosca continua a dare all’Ucraina la colpa della distruzione della diga mentre procede con la sua tattica di distruzione, bombardando sia le zone colpite dall’esondazione del fiume sia altre città. Lo storico Timothy Snyder dice che questo atto sciagurato sa di “disperazione”: se Putin distrugge tutto è perché sa che non potrà mai riconquistare questa zona. Il presidente della Kyiv School of Economics, Tymofiy Mylovanov, che è stato anche ministro dell’Economia, più che di disperazione parla di “disprezzo”: i russi cercano di piegare i cittadini che un tempo pensavano di ammaliare, e quando vedono che non ce la fanno, distruggono. I danni sono enormi. Proprio la School of Economics di Kyiv ha analizzato – in uno studio fatto assieme a VoxUkraine e finanziato dall’Unione europea – attraverso immagini satellitari e testimonianze dirette quanti edifici sono stati sommersi del tutto o in parte dall’esondazione: ci sono quasi 19 mila edifici danneggiati nei quattro principali insediamenti lungo la riva del fiume Dnipro controllata dagli ucraini, per un totale di due milioni e mezzo di metri quadrati. Di questi circa la metà è stata completamente sommersa. Mylovanov cerca di renderci comprensibili questi dati: l’Ucraina costruisce ogni anno dai 7 ai 15 milioni di metri quadri di edifici, quindi soltanto in quattro centri il 20 per cento della capacità di costruzione ucraina è stata annientata. Se si fa il paragone con una città europea, per esempio Parigi, è come se il 5-10 per cento degli appartamenti della capitale francese fosse stato allagato – non da una calamità naturale, ma da un’azione criminale.

 

Per molti questo è un problema degli ucraini, ma si tratta di un’interpretazione miope (oltre che disumana) di quel che è accaduto a Kherson e che sta accadendo in tutto il paese a causa dell’aggressione russa. La ricostruzione dell’Ucraina, che durerà almeno dieci anni anche se la data d’inizio non la conosciamo (la potrebbe fissare Putin in questo stesso istante smettendo di attaccare, ma non vuole), costa dai 411 ai 1.100 miliardi di dollari, a seconda delle stime, in ogni caso parecchie volte il Piano Marshall che, dopo la Seconda guerra mondiale, contribuì a ricostruire sedici paesi europei e durò tre anni. Anche considerando soltanto la cifra più bassa, i 411 miliardi di dollari, stiamo comunque parlando di due volte e mezzo il pil dell’Ucraina nel 2022. La settimana prossima a Londra si terrà l’Ukraine Recovery Conference, un appuntamento annuale con soggetti pubblici, privati e ong che si tiene dal 2017 e che ora è cruciale per stabilire un processo trasparente di finanziamento dell’Ucraina.

 

Ogni volta che si parla di questo sostegno, gli scettici arricciano il naso: sono già stati spesi molti soldi per Kyiv, che comunque non ha fama di essere un governo trasparente, chissà che cosa se ne farà di questi soldi. Ci sono sistemi di monitoraggio già avviati così come regole e standard europei già introdotti, ma molti esperti dicono che è necessario stabilire un meccanismo che permetta di controllare l’arrivo e l’utilizzo dei fondi. Come sempre, il pregiudizio negativo scatta nei confronti dell’Ucraina, mentre ancora non si è capito come utilizzare i fondi congelati dei russi per la ricostruzione, così come, nei tanti calcoli cinici di pace, non si dice mai che conviene a tutti che Putin smetta di distruggere l’Ucraina, perché la riparazione dei danni che fa per ora è tutta a carico nostro. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi