A Bruxelles
Il romanzo del Qatargate scritto dal giudice Claise (dimesso) è sempre meno credibile
L’ennesimo colpo di scena è arrivato con le dimissioni del grande accusatore (e romanziere): suo figlio è in affari con Ugo Lemaire, figlio dell’eurodeputata socialista Arena, citata più volte nelle indagini, senza tuttavia subire lo stesso trattamento riservato a Panzeri, Giorgi, Kaili e altri. L'inchiesta appare sempre più come una farsa
Bruxelles. Il grande scandalo del Qatargate, che doveva travolgere il Parlamento europeo perché incancrenito dalla corruzione e dalle influenze straniere, appare sempre più come una farsa, dopo che il giudice istruttore, Michel Claise, ha deciso di abbandonare l’inchiesta per un palese conflitto di interessi che rischia di comprometterne l’obiettività. L’ennesimo colpo di scena è arrivato lunedì sera, quando la procura federale belga ha diffuso un comunicato per annunciare le dimissioni di Claise, il giudice che ha diretto le indagini, le perquisizioni, gli arresti e gli interrogatori del Qatargate.
“Recentemente sono apparsi nuovi elementi. Potrebbero suscitare alcuni interrogativi quanto al funzionamento obiettivo dell’inchiesta. Per precauzione e al fine di permettere alla giustizia di proseguire il suo lavoro nella serenità (...) il giudice di istruzione Michel Claise ci comunica che ha deciso questa sera di ritirarsi dal fascicolo”, ha spiegato la procura federale belga. Pochi minuti dopo il quotidiano Le Soir ha svelato la ragione: il figlio maggiore di Claise, Nicolas, ha una società in comune con Ugo Lemaire, figlio dell’eurodeputata socialista belga, Maria Arena, citata più volte nelle indagini, senza mai subire lo stesso trattamento riservato ad Antonio Panzeri, Francesco Giorgi, Eva Kaili, Luca Visentini, Niccolò Figà-Talamanca, Marc Tarabella e Andrea Cozzolino.
Tutti i protagonisti del Qatargate sono finiti dietro le sbarre per periodi più o meno lunghi. Tranne lei, Maria Arena, esponente di spicco del Partito socialista francofono belga, protetta dall’ex premier Elio Di Rupo, mamma del socio in affari del figlio di Claise. A scoprire il conflitto di interessi è stato l’avvocato di Tarabella. Di fronte alla minaccia di essere ricusato, Michel Claise ha fatto un passo indietro. Possibile che il giudice istruttore non sapesse degli affari del figlio con Ugo Lemaire? E’ immaginabile che Nicolas Claise non abbia detto al padre della sua società insieme al figlio di Arena, nome che era su tutti i giornali perché citato nelle indagini dei servizi segreti che hanno dato origine al Qatargate e nei primi interrogatori di Panzeri, Giorgi e Kaili? Oppure Michel Claise ha semplicemente nascosto il conflitto di interessi per oltre sei mesi? Applicando il “metodo Claise” al “caso Claise”, la conclusione più logica sarebbe di condanna. O almeno un paio di mesi in carcere per vedere se il giudice istruttore confessa di aver omesso di dichiarare un conflitto di interessi grave.
Romanziere prolifico, con la fama di sceriffo, Michel Claise potrebbe aggiungere un tocco picaresco a tutta questa storia. Nicolas Claise e Ugo Lemaire fanno affari e soldi insieme nel settore delle droghe legali. La loro società, BRC & Co, è in piena espansione grazie alla commercializzazione del Cbd, la cannabis a basso contenuto di Thc. Mentre il padre giudice dà la caccia ai grandi trafficanti e denuncia pubblicamente i flagelli per la democrazia del denaro sporco frutto del traffico di stupefacenti (tra il porto di Anversa e i laboratori clandestini nel Limburgo, il Belgio è una piattaforma delle sostanze illegali destinate a tutta l’Europa), suo figlio si arricchisce grazie alla zona grigia di una droga legale, perché penetra le maglie della legislazione proibizionista. E lo fa grazie alle connessioni personali in un mondo relativamente piccolo, quello della borghesia francofona in Belgio, dove quasi tutti si conoscono, perché i loro genitori si conoscono, hanno fatto le stesse scuole, hanno frequentato le stesse università, giocano sugli stessi campi da tennis o da golf, cenano negli stessi ristoranti.
Zona grigia e connessioni personali in un piccolo mondo sono alla base anche del romanzo del Qatargate. Le prove rese pubbliche da Claise su Panzeri e Giorgi, nonché le fughe di notizie sugli interrogatori, lasciano poco spazio all’interpretazione: i due hanno ricevuto valigie pieni di contanti dal Qatar, dal Marocco e dalla Mauritania. Ma sugli altri protagonisti, man mano che passano i mesi ed emergono nuovi dettagli, la trama del giudice istruttore diventa più debole. Figà-Talamanca, segretario generale di No Peace Without Justice, è stato liberato dopo quasi due mesi di carcere, perché Panzeri lo ha scagionato negli interrogatori (rimane formalmente indagato fino a quando la procura non chiuderà le indagini per andare a processo). Kaili ha trascorso quattro mesi agli arresti e ora ha deciso di fare ricorso contro il Parlamento europeo che non ha difeso la sua immunità parlamentare. Chi ha “confessato”, per contro, è stato liberato quasi immediatamente da Claise. Visentini, ex capo della confederazione mondiale dei sindacati, dopo aver ammesso di aver ricevuto dei contanti da Panzeri. Giorgi, l’ex assistente di Panzeri, dopo aver riconosciuto il suo ruolo nel tentativo di influenzare i parlamentari. Panzeri stesso, a seguito dell’accordo da collaboratore di giustizia con Claise.
Nel Qatargate la zona grigia è quella della lobby, attività di influenza per antonomasia, praticata da grandi multinazionali e piccole ong, che nell’Ue è ampiamente regolamentata, legale ma informale. Le connessioni personali sono il piccolo mondo che ruota dentro e attorno al Parlamento europeo: deputati, assistenti, funzionari, diplomatici, lobbisti, che nel corso del tempo diventano conoscenti, amici, in alcuni casi perfino amanti. Il lobbista chiede un favore a un deputato. Nel Qatargate un ex deputato, Panzeri, si è convertito in lobbista e si è messo alla testa di una falsa ong, Fight Impunity. Ha chiesto una serie di favori ai suoi amici ancora deputati (Tarabella, Arena e Cozzolino). Ha collaborato con No Peace Without Justice, ong molto conosciuta e stimata. Claise vi ha visto un’associazione a delinquere, dedita alla corruzione e al riciclaggio per influenzare le decisioni dell’Ue. Il Parlamento europeo ha rafforzato l’impressione del “sono tutti corrotti”, rifiutandosi di difendere le immunità per scegliere la strada del giustizialismo e della sbrigativa destituzione di Kaili da vicepresidente. Sarà il processo a dire chi è colpevole di cosa. Ma il romanzo del Qatargate scritto dal giudice romanziere è sempre meno convincente.