la partita

A Parigi la sfida per Expo 2030 è Gualtieri vs Psy

Giulia Pompili

Nella capitale francese la riunione del Bureau che voterà la città ospitante. Odessa fuori dalle candidature, restano Roma, Riad e Busan, in Corea del sud. L'arma segreta del presidente sudcoreano Yoon sono le armi e il K-pop

Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha portato a Parigi l’artiglieria pesante: per la presentazione della candidatura ufficiale della città di Busan all’Expo 2030, ieri, è arrivato con la super popstar Psy, quello di “Gangnam Style”, il rapper che ha portato il K-pop, la musica sudcoreana, a diventare il fenomeno globale che è oggi. Per fare un facile paragone sulle aspettative che ci sono in Corea del sud su Expo2030, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata ieri a Parigi accompagnata dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Che suona la chitarra molto bene, a quanto pare, ma non riempie gli stadi come Psy.


 E’ nella capitale francese, nella sede del Bureau International des Expositions (Bie), che ieri si sono radunati i rappresentanti e i delegati dei paesi membri per assistere alle tre presentazioni delle tre città candidate: Busan, Roma e Riad. Saranno loro a votare, il 23 novembre prossimo, per decidere quale metropoli ospiterà l’esposizione universale del 2030 – con il fiume di investimenti collegato, che a volte supera quello di grandi eventi sportivi come i Giochi olimpici. Dato che la prossima presentazione da parte dei paesi candidati sarà molto vicina al voto finale, secondo gli osservatori le presentazioni di ieri saranno determinanti per le valutazioni tecniche dei prossimi mesi. Dunque: il presidente sudcoreano Yoon, il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman e Giorgia Meloni ieri di fatto si giocavano l’Expo. Tra le candidature, a dire il vero, per un momento c’era stata anche la città ucraina di Odessa: un segnale politico e diplomatico forte, per la magnifica località sul mar Nero regolarmente bombardata dalla Russia. Solo che il Bureau è stato costretto ieri a escluderla ufficialmente dalle città candidate perché la procedura di controlli e sopralluoghi che viene fatta di regola durante la fase di candidatura non è stata possibile nel caso di Odessa. 


L’Arabia Saudita sembra la preferita, nel gran gioco diplomatico: Bin Salman, che è anche presidente della commissione reale per la città di Riad, ieri era a Parigi dove ha incassato il sostegno – pare – anche di Israele, nell’ambito della normalizzazione delle relazioni diplomatiche. Ma non tutti i paesi sono disposti a regalare ancora un palcoscenico internazionale a un paese a dir poco problematico dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. La candidatura della capitale italiana ha ricevuto il sostegno dell’Ue,  ma a fine aprile pure l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente del Comitato promotore per Expo a Roma, in occasione della visita in Italia degli ispettori del Bie aveva detto che “l’Europa è famosa per essere disunita nelle candidature internazionali e questa volta l’Expo non fa eccezione”.


E poi c’è Busan, la seconda città della Corea del sud dopo Seul, col suo porto del sud che affaccia sul Giappone, le magnifiche spiagge, le montagne, i grattacieli. Secondo la stampa internazionale, sarebbe l’unica realistica competitor di Riad. Il governo di Seul spera moltissimo nel rilancio della sua seconda capitale anche per ragioni politiche: Busan 2030 ha come slogan “Trasformare il nostro mondo, navigare verso un futuro migliore”, e il futuro migliore per la Corea del sud passa attraverso l’autopromozione, il soft power, la costruzione di un paese asiatico centrale negli equilibri internazionali che vuole contare sempre di più. E la scommessa coreana per l’Expo è soprattutto parte del progetto del governo Yoon di rendere la Corea parte integrante dell’alleanza occidentale come, se non più del Giappone. Basti pensare a tre elementi fondamentali dell’export sudcoreano che stanno aumentando enormemente negli ultimi anni: musica e serie tv, tecnologia e armamenti.  Lo spostamento verso occidente di Seul è iniziato: il presidente sudcoreano è stato invitato al summit della Nato, e cerca una sponda in Europa per essere invitato ancora al G7 allargato, come è avvenuto con quello di Hiroshima di maggio – e magari, un giorno, farne parte da membro effettivo. 


Secondo quanto riportato dalla stampa coreana, per pronunciare ieri il suo discorso in inglese, che poi è stato trasmesso in diretta tv, Yoon si è esercitato per tutto il fine settimana, e addirittura Bin Salman avrebbe deciso di volare a Parigi solo dopo aver saputo non solo della presenza di persona del presidente sudcoreano, ma anche che la sua presentazione era stata pensata per impressionare il pubblico, oltre che la politica, con un collegamento anche della rapper Karina del gruppo K-pop Aespa e la famosa soprano Sumi Jo. L’anno scorso il governo sudcoreano ha deciso di nominare ambasciatori di Busan 2030 i Bts, la band più famosa del mondo, che poi a ottobre hanno tenuto un concerto gratuito a Busan, in sostegno della sua candidatura, con più di centomila persone arrivate da tutto il mondo. 


Nel suo  discorso di ieri, Yoon ha ricordato che la guerra di Corea di settant’anni fa ha devastato la penisola, ma che “grazie all’aiuto della comunità internazionale”, poi la Repubblica di Corea si è trasformata in una potenza economica con industrie ad alta tecnologia e innovative. “La Corea vuole restituire alla comunità internazionale ciò che ha ricevuto finora”, ha detto Yoon. Potrebbe aver convinto più di qualcuno. Ad ascoltare le chiacchiere diplomatiche, per ora l’unico problema di Busan è la geografia: la prossima esposizione universale del 2025 sarà a Osaka, in Giappone, cioè a soli 600 chilometri da Busan. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.