(foto LaPresse)

Le opzioni di Israele

La trasformazione di Jenin, da area florida a centro del terrorismo

Fabiana Magrì

Lo scontro a fuoco di lunedì durato ore e ore è soltanto la punta dell’iceberg: la zona, crocevia del commercio, sta diventando una “fabbrica dei martiri”. La leadership palestinese non è riuscita a disinnescare i gruppi armati

Tel Aviv. Sugli scaffali dell’Hilweh Market a Giaffa, fondato da Adrieh Abou Shehadeh nel 2019, fa bella mostra di sé il soft power palestinese. Perfetto nella sua semplicità e rotondità, il cesto in ramoscelli di ulivo intrecciati a mano da artigiani della Canaan Farm, a nord di Jenin, è in vendita a 220 shekel (55 euro) nel concept store palestinese. Tanto vale, e vale tanto , il potenziale di territori che potrebbero beneficiare, socialmente ed economicamente, di risorse naturali che sono sempre state lì: ulivi, freekeh, marmo. Storicamente Jenin è un’area florida, situata com’è sul crocevia di traffici commerciali. Ma il “marketing del terrorismo” l’ha trasformata nella “la fabbrica dei martiri” e nella “fossa dei leoni”, per il suo ruolo nella “resistenza armata” contro Israele. Dall’inizio della Prima Intifada nel 1987, poi nella seconda nel 2000, Jenin e i villaggi limitrofi hanno sviluppato una storia come covi per gruppi armati, fin dalla Pantera Nera. Ciò ha portato alla battaglia di Jenin del 2002, con l’invasione del campo profughi da parte di Tzahal (l’esercito di Israele), più di 50 morti tra i palestinesi e 20 tra gli israeliani.

 

Gli strascichi anche economici – nei due anni successivi quasi la metà della popolazione maschile era disoccupata, il 20 per cento in più rispetto alla media in Cisgiordania, secondo l’Ufficio centrale di statistica palestinese – sembravano destinati a una svolta nel 2008. Ramallah, con il sostegno di Gerusalemme e della comunità internazionale, intraprese il cosiddetto Jenin pilot project, allo scopo di creare un modello per una governance di successo, con il rafforzamento delle forze di sicurezza dell’Autorità palestinese nel’'area di Jenin e l’impegno di Israele a sostenere l’attività di sicurezza e adottare misure economiche per migliorare le condizioni di vita dei residenti. Tra i progetti c’erano il potenziamento delle infrastrutture e la creazione di una zona industriale. L’iniziativa congiunta arabo-israeliana Valley of Peace per promuovere il turismo nella regione di Jenin portò, nel 2010, all’avvio di 600 nuove imprese. Ma nonostante le premesse e le promesse di prosperità economica, la leadership palestinese non è riuscita a disinnescare i gruppi armati. Nell’area, a crescere maggiormente sono stati il terrorismo (la resistenza, per i palestinesi), la Jihad islamica, l’organizzazione attualmente più attiva lì in collaborazione con altre, in particolare Hamas, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina e le Brigate dei martiri di al Aqsa di Fatah.

 

Lo scenario che si sta più che delineando, ormai si sta consolidando, preoccupa Israele. La nuova generazione di militanti palestinesi crede di non avere nulla da perdere di fronte alla pressione economica e alla delusione di un’Autorità palestinese in caduta libera. A cui si somma l’incitamento via social che arriva da vicino e da lontano, dal Libano, dal Qatar, dall’Iran. Non hanno quindi inibizioni nell’affrontare l’esercito israeliano, impegnato quasi quotidianamente in tutta la Cisgiordania in operazioni militari per stanare responsabili di atti terroristici, già compiuti o in fase di preparazione. Lunedì l’esercito israeliano è entrato a Jenin per arrestare due ricercati, il figlio di un funzionario di Hamas in Cisgiordania e un membro del Jihad islamico palestinese. Ma l’operazione è degenerata in uno scontro a fuoco durato ore e ore, che ha avuto come esito l’uccisione di sette palestinesi, alcuni rivendicati dalla Brigata Jenin e dal Jihad come loro militanti. “Sangue per sangue”, invocano i palestinesi: ieri è morta anche una ragazzina rimasta ferita durante gli scontri.

 

La “risposta ai crimini dell’occupazione di Jenin”, come l’ha definita il portavoce di Hamas, è arrivata martedì, quando quattro israeliani sono stati uccisi da due assalitori palestinesi nella stazione di servizio lungo la strada 60 all’ingresso di Eli, insediamento ebraico in Cisgiordania, a una ventina di chilometri a sud di Nablus. È tempo di un’operazione militare su larga scala, come chiede la destra al governo con Netanyahu? Chi si oppone lo fa per timore di un’escalation su più fronti. Che è una forma di debolezza, agli occhi dell’avversario e dei suoi sostenitori. 

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