gli alleati di meloni
Le contraddizioni del referendum polacco sui migranti
Il PiS ha proposto un voto sulla revisione del Patto europeo e si prepara a una campagna elettorale anti immigrazione e anti Europa. Però chiede anche di semplificare i visti per alcune nazioni. Perché? Ha bisogno di forza lavoro. Le differenze tra proclami, necessità e alleanze in Ue
Al partito di governo polacco, il PiS, che governa dal 2015 e tenta di ottenere un terzo mandato alle elezioni che si terranno in ottobre, l’idea di un nuovo Patto su migrazione e asilo non piace per nulla. E poco importa che a chiederlo con particolare necessità in Europa sia un grande alleato come Fratelli d’Italia. Il PiS è convinto che non ci sia bisogno, che le nuove proposte violino, come ha detto il primo ministro Mateusz Morawiecki, “la sovranità degli stati membri” e la “Polonia non pagherà per gli errori delle politiche migratorie di altri”. In Polonia le forti manifestazioni contro il governo e contro l’istituzione di una commissione per indagare sulle influenze russe nella politica hanno esposto il PiS a critiche dure e corpose.
L’opposizione, con Donald Tusk in testa, ha capito che divisa non va da nessuna parte e si sta convincendo a unirsi perché i numeri dicono che il principale partito di governo si può battere, ma ci vuole organizzazione, ci vuole unione. Jaroslaw Kaczynski, il leader del PiS, pensava che sarebbe bastato improntare la campagna elettorale sulla Russia, sugli errori commessi con Mosca, sulle pressioni ricevute dai partner europei per stringere accordi con il Cremlino nel passato rendendo vulnerabile Varsavia. Le manifestazioni, che ogni settimana continuano, hanno invece dimostrato che l’idea ai polacchi non piace, che la Commissione sulle influenze russe sembra una legge piuttosto putiniana. Quindi, il nuovo patto europeo sui migranti può trasformarsi in un buon dibattito da campagna elettorale. La proposta del governo è di chiedere direttamente ai cittadini cosa ne pensano delle proposte di Bruxelles e di far votare un referendum proprio nel giorno in cui dovrebbero tenersi le elezioni politiche.
In base all’accordo europeo, ogni membro dell’Ue sarebbe responsabile dell’ammissione di un determinato numero di migranti e in caso in cui rifiuti l’accoglienza dovrà pagare ventimila euro a persona ad altri stati. Kaczynski ha detto che la Polonia ha già accolto circa due milioni di ucraini e sarebbe ingiusto aspettarsi che adesso Varsavia paghi per non essere pronta ad accogliere nuovi migranti. Il discorso sulla migrazione in Polonia è però più profondo, c’è la parte di battaglia ideologica e c’è quella del pragmatismo, di una nazione in costante crescita economica ma anche in profonda crisi demografica. Il governo polacco, oltre al referendum ha proposto di semplificare le procedure di visto per alcuni paesi del medio oriente, del Caucaso e dell’Asia. La Polonia dal punto di vista migratorio è un paese molto attrattivo ed è anche un paese che ha bisogno di lavoratori. Il governo che sembra voler organizzare una campagna elettorale contro l’accoglienza e le regole europee, nello stesso tempo vorrebbe semplificare alcune procedure di visto. E non sa come conciliare i proclami con questa necessità.
Nel 2016, Viktor Orbán, che pure ha votato contro la revisione del Patto, aveva già tenuto un referendum sulle quote dei migranti e non aveva raggiunto il quorum. Gli ungheresi si mostrarono poco interessati a fermare quella che veniva presentata loro come “un’invasione”. Il PiS non soltanto è memore dell’esperienza ungherese, e forse per questa ragione propone che il referendum si voti assieme alle elezioni politiche, ma secondo alcuni osservatori potrebbe anche approfittare della coincidenza e far saltare alcune regole della campagna elettorale.
Il voto in Polonia è importante per tutta l’Unione, per i suoi meccanismi, per le elezioni europee che si terranno nel 2024 e per la ricerca di nuove geometrie da applicare al Parlamento europeo che ne uscirà. E il PiS, l’alleato di sempre di Fratelli d’Italia, si sta preparando a una campagna elettorale feroce su un tema che lo divide profondamente dalle idee e dalle necessità di Giorgia Meloni a Bruxelles.
La prossima Commissione