Libertà a Tbilisi

Gvaramia, il giornalista georgiano scarcerato che ringrazia l'Ue

Micol Flammini

La presidente della Georgia Salome Zourabichvili sente la voglia di Unione europea: la liberazione di un prigioniero è un inizio 

Nikoloz Gvaramia, più conosciuto come Nika Gvaramia, è uscito dalla prigione quando già era buio in Georgia. Ad attenderlo fuori dal carcere c’era un gruppo di suoi sostenitori, alcuni con le bandiere europee. Gvaramia è un politico e un giornalista e il suo nome si trova tra le condizioni poste da Bruxelles alla Georgia per ricevere lo status di paese candidato a diventare parte dell’Unione europea: la sua scarcerazione era la settima condizione. Non era un capriccio europeo o un tentativo di ingerenza, era la richiesta di fermare gli attacchi contro le testate che sono critiche con il governo, un requisito da aggiungere ad altri quali  riforma della magistratura, trasparenza, lotta alla criminalità organizzata. Bruxelles aveva detto che il rilascio di Gvaramia, anche tramite la grazia presidenziale, sarebbe stato un segnale importante,  un obiettivo da raggiungere rapidamente, sicuramente in tempi più brevi di una riforma della magistratura. Gvaramia è stato ministro di Mikheil Saakashvili, è un giornalista ed è tra i fondatori di Mtavari Arkhi, una televisione di cui è stato anche direttore e che è molto impegnata nel fare opposizione al governo. E’ stato arrestato varie volte negli ultimi anni, l’ultima è stato condannato a tre anni e mezzo per abuso d’ufficio.

 

 Ci si aspettava che la presidente Salome Zourabichvili ascoltasse prima il parere degli europei, ha lasciato passare del tempo, anche tra la contrarietà  dei georgiani, il popolo che aspetta di entrare nell’Ue sventolando bandiere europee fino a perdere il fiato, il popolo che protesta contro la riapertura dei voli dalla Russia fino a tarda notte e che davanti al Parlamento grida che non è sovietica l’unione a cui vuole appartenere, ma è europea. Gvaramia non ha mai chiesto la grazia, uscito dal carcere ha detto che non ha pensato di chiedere il perdono perché “sono innocente”, si è scusato per aver attaccato in passato la presidente e ha detto che adesso penserà a togliere dai guai la sua televisione. 

 

Zourabichvili è nata a Parigi, ha ricevuto un’educazione europea, anche lei è stata ministro di Saakashvili, dal suo insediamento nel 2018 ci si aspettava che  prendesse delle posizioni apertamente a favore della democrazia. Invece si è confinata nel suo ruolo più istituzionale, raramente andando contro l’esecutivo guidato dal partito Sogno georgiano, che ha come  leader un oligarca che ha   tanti affari con Mosca, Bidzina Ivanishvili. Questa settimana la Commissione ha presentato un documento sullo stato delle riforme in Ucraina, Moldavia e Georgia, giudicando come positivi i passi compiuti dalle prime due e chiedendo a Tbilisi sforzi più concreti. I georgiani aspettavano già lo scorso anno lo status di candidato, non è arrivato perché il governo più che migliorare, ha peggiorato la democrazia nel paese,  alla ricerca di un nuovo mandato che vuole ottenere a tutti i costi e tardando così il momento della Georgia nell’Ue.

 

Ma i georgiani non vogliono più aspettare e contano anche sulla presidente Zourabichvili. Sogno georgiano invece ha rotto con i Socialisti europei, non è più tra i membri osservatori del Parlamento (Pe) e anzi se si è avvicinato a qualcuno è a Viktor Orbán, la monade del Pe che non ha ancora trovato una casa per il suo Fidesz, e che a Budapest alla conferenza dei conservatori ha accolto Sogno georgiano a braccia aperte. Gvaramia è stato l’inizio. Ora il giornalista ha chiesto la scarcerazione di Saakashvili, che in carcere rischia la vita e su questo l’Ue è stata chiara: se succederà qualcosa all’ex presidente il cammino europeo per la Georgia non sarà mai più possibile. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)