il discorso

Putin taglia con Prigozhin

Micol Flammini

Il presidente non nomina il capo della Wagner e parla di tradimento. Dice che la marcia è una coltellata alle spalle e che l'esercito ha ricevuto gli ordini per neutralizzare la ribellione

Vladimir Putin non sta con Evgeni Prigozhin, anzi non lo menziona neppure nel suo primo discorso alla nazione da quando il finanziatore e capo della Wagner ha iniziato la sua “marcia per la giustizia” verso Mosca. Putin ha detto che ha trascorso la notte a parlare con i suoi militari e i capi dell’intelligence e che in questo momento si sta decidendo il destino della Russia: “Un tentativo di ribellione è una pugnalata alle spalle”, non permetteremo che la Russia sia di nuovo divisa. Ha fatto riferimento al 1917, perché il presidente russo parte sempre dalla storia distorcendola per giustificare le azioni nel presente, e quell’anno per lui è stato il momento in cui “il paese era perduto e la vittoria è stata gettata via”. Putin ha detto che è necessario evitare qualsiasi conflitto interno e ha definito un “tradimento” la marcia e il tentativo di mettere i russi contro i russi: “Qualsiasi ammutinamento interno è una minaccia fatale per la Russia, la risposta sarà dura”. Per il presidente russo, tutti coloro che hanno intrapreso la strada del tradimento, del ricatto, dell’ammutinamento “subiranno una punizione inevitabile”. Le Forze armate hanno ricevuto “l’ordine necessario per neutralizzare coloro che hanno organizzato la ribellione armata”. Ha però chiamato gli uomini della Wagner degli eroi, riconoscendo le loro vittorie in Ucraina, ma ha chiesto loro di staccarsi da Prigozhin, senza fare il suo nome: ha lasciato una porta aperta, non al loro capo, ma ai suoi uomini. 

 

Putin ha tagliato il suo legame con Prigozhin, che non è mai stato esplicito al di là della foto che ha fatto guadagnare al capo della Wagner il nome di “chef”, e che li ritrae, molto più giovani, mentre Prigozhin scoperchia un piatto e Putin fa una faccia di apprezzamento. Il capo della Wagner però non viene dalla cerchia più stretta del Cremlino che il presidente ha curato negli anni, era un rapporto che si è sviluppato nell’ombra, esterno, e il Prigozhin che usa la sua forza militare per ottenere fini politici manca di appoggi e di sostegno, di quelle credenziali che si sviluppano invece proprio nelle stanze del Cremlino. Uno a uno tutti gli uomini più in vista stanno condannando le azioni del capo della Wagner. Mancava la condanna di Putin, che è arrivata ora, resa ancora più forte dal silenzio sul nome dell’uomo che ha creato la situazione che la Russia sta seguendo in uno stato di tensione: a Mosca sono scattate le miure anti terrorismo, a San Pietroburgo è stata circondata la sede della Wagner. 

 

Si allineano e si fanno più chiari gli schieramenti dietro al presidente, l’Fsb, i servizi di sicurezza russi, sono stati i primi a parlare ieri sera, in molti da tempo non tolleravano l’indipendenza della Wagner. Per fermare Prigozhin hanno fatto parlare il generale che i mercenari apprezzano di più: Sergei Surovikin, ex capo delle Forze armate russe in Ucraina, sostituito da Valeri Gerasimov, uno dei bersagli di Prigozhin. 

 

E’ stato Putin ad alimentare la creatura Wagner e anche la creatura Prigozhin, può aver condannato la marcia, ma rimane un prodotto della sua gestione del potere che non ha saputo controllare. Il caos è iniziato da lui, che della stabilità assicura di essere il garante. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)