la corsa

La marcia su Mosca è appena all'inizio

Micol Flammini

La Russia riavvolge il nastro, la voce di Prigozhin riappare e spiega che la marcia era una protesta. Putin risponde offrendo tre opzioni  alla Wagner, ma non al loro capo. Il resto è rimasto al suo posto, anche Shoigu

La voce di Evgeni Prigozhin è tornata, ha parlato per undici minuti in un messaggio audio e ha spiegato le motivazioni della “marcia della giustizia” con la quale sabato ha minacciato di arrivare fino a Mosca con i suoi uomini. I combattenti del gruppo Wagner hanno percorso 780 chilometri in meno di ventiquattro ore per non permettere che il ministero della Difesa distruggesse la compagnia obbligandola a diventare parte dell’esercito regolare. Un altro motivo della forsennata corsa verso Mosca, ha detto Prigozhin che da sabato sera è soltanto una voce, era dimostrare come i soldati russi sarebbero stati in grado di marciare verso Kyiv se non fossero parte di un esercito frenato dalla burocrazia e dalla corruzione. Con la Wagner, ha detto Prigozhin, chiaro e infuocato,  “l’operazione sarebbe potuta durare un giorno, questo mostra il livello di organizzazione che l’esercito russo dovrebbe seguire”.

 

Secondo il capo dei mercenari i soldati regolari incontrati lungo la strada, da Rostov sul Don fino a duecento chilometri dalle porte di Mosca, lo hanno sostenuto. Secondo alcuni media russi, invece, pochi soldati erano stati mandati a fermare la marcia, molti erano stati richiamati per difendere la capitale, mentre il Cremlino continuava a negoziare. La compagnia si è fermata quando è parso chiaro che per andare avanti bisognava “spargere del sangue russo” e perché la marcia non voleva essere contro le autorità. Con undici minuti di messaggio vocale, Prigozhin ha rimpicciolito, annullato, edulcorato la sua cavalcata verso Mosca per dire ai russi che lui è dalla loro parte e per dire a Putin che rimane uno dei suoi. E’ tornato nei ranghi, ma non si pente, non chiede scusa, vuole soltanto spiegare che  la sua marcia altro non era che un’azione dimostrativa , non voleva rovesciare il presidente. Voleva dimostrare l’inettitudine dell’esercito e l’ha fatto, dice.  

 

Dove sia Evgeni Prigozhin non si sa ma lungo la strada percorsa dagli uomini della Wagner sono spuntate delle scritte di sostegno ai mercenari, in alcune si legge “Wagner, siamo con te”, oppure “non siamo 25.000, siamo in milioni” con riferimento al numero dei mercenari che si sono messi in marcia. Una scritta è più curiosa di altre: “Prigozhin è la coscienza della Russia”. L’azione dei mercenari è piaciuta. 

In serata è comparso anche Vladimir Putin, con un discorso che il suo portavoce, Dmitri Peskov, aveva annunciato come "senza esagerazioni"  decisivo per "il futuro della Russia". Il presdiente ha parlato per qualche minuto, dicendo che l'ammutinamento ha reso il paese più unito: "Qualsiasi tumulto o ricatto sono destinati al fallimento, una ribellione armata sarebbe stata comunque soppressa". Non ha perdonato Prigozhin, ma ha lasciato alla Wagner delle opzioni: firmare un contratto con il Ministero della Difesa, andare in Bielorussia o tornare a casa. Dopo il discorso ha iniziato una riunione con i capi delle forze di sicurezze e tra loro c'era anche Sergei Shoigu, il ministro che Prigozhin chiedeva di rimuovere, perché corrotto, burocrate e incompetente. 

 

Putin è rimasto al Cremlino, Shoigu alla Difesa, la Wagner esiste ancora (secondo il lor capo soltanto l’1 per cento ha accettato di passare con l’esercito regolare) , Prigozhin ha ripreso a parlare: è il ritratto della Russia prima della marcia, il racconto di una nazione in cui è possibile accadano cose incredibili e far finta nello stesso tempo che nulla sia realmente avvenuto. Ildiscorso di Putin è stato una cesura, la conferma che vuole tornare a occuparsi di Ucraina, della guerra e mostrare che ha intenzione di andare avanti. Il presidente russo ha creato un sistema di potere capace di resistere al colpo di una marcia su Mosca, si è fatto vedere debole con i suoi alleati internazionali – chiamandoli uno a uno per raccontare la situazione e probabilmente sondare la disponibilità di intervento – ma ha anche sondato la solidità del sostegno della sua cerchia, degli oligarchi, degli uomini che controllano imprese statali fondamentali come Gazprom e che adesso armano nuove milizie di mercenari. 

 

Prigozhin in Russia ha acquisito notorietà, per molti russi la marcia  è stata la carovana di un circo da ricordare con tanto di foto e acquisti di gadget del gruppo Wagner. Prigozhin da qualche giorno più che da combattente parla da politico, con termini che rievocano i grandi mali del potere di Putin, come la corruzione, di cui il mercenario è stato sempre parte. Non è un outsider, è un prodotto del putinismo, integrato nel potere del Cremlino e quindi, secondo il presidente, oggetto di un rapporto ancora negoziabile. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)