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In Russia

I cambi di potere in Russia sono rumorosi e violenti, farsa e tragedia

Francesco M. Cataluccio

Una guerra civile nel paese è una possibilità che prevedono diversi emigrati russi, ucraini e bielorussi. La breve e fallimentare rivolta della Wagner è il primo di questi sintomi di ribellione

Dall'inizio dell’anno diversi emigrati russi, ucraini e bielorussi, che ho incontrato in Polonia e in Georgia, sostenevano che presto sarebbe scoppiata in Russia una sorta di guerra civile. Recentemente anche il grande giornalista russo, ora residente in Lettonia, Valerij Panjuškin (del quale è appena uscito per le edizioni e/o il bellissimo reportage sui profughi della guerra: “L’ora del lupo”), nella puntata del 14 giugno del podcast Globo, ha sostenuto che in Russia finirà con una guerra di tutti contro tutti, una guerra per bande che punterà a impossessarsi degli arsenali atomici. Eserciti ben armati e pieni di soldi: “Ci sono almeno una decina di eserciti locali, privati: quello di Evgeni Prigozhin, quello ceceno di Ramzan Kadyrov, uno in Crimea, persino quello di Gazprom...”. 

Il gruppo di mercenari Wagner, dal soprannome del loro fondatore Dmitri Valerevic Utkin (1970), ex colonnello delle brigate speciali dello spionaggio russo (Gru), ora di proprietà del magnate Evgeni Prigozhin, era di fatto l’armata personale di Putin, che ha persino permesso loro, in barba a ogni legge, di arruolare criminali comuni con la promessa di un’eventuale cancellazione della loro pena, ora li ha subito perdonati in blocco per essersi “ribellati”. I mercenari vennero impiegati per la prima volta durante la guerra del Donbas in aiuto delle forze separatiste delle autodichiarate repubbliche popolari di Donetsk e di Luhansk dal 2014 al 2015. E infatti Vladimir Putin, nel suo discorso alla televisione russa di domenica 25, alle 10 del mattino ora locale, lo ha ricordato: “Il nome e la gloria degli eroi della Wagner che hanno combattuto nell’operazione militare speciale in Ucraina e hanno dato la vita per l’unità del mondo russo sono stati traditi da coloro che hanno organizzato la ribellione”. Lo stesso concetto lo ha ribadito nel discorso della sera di lunedì 26 (tre accorati discorsi televisivi in meno di 48 ore!). Sostenendo di esser stato pugnalato alle spalle non ha mai nominato Prigozhin: si è rivolto ai suoi “malconsigliati eroi”. Per questo l’esercito russo non ha avuto l’ordine di sparare contro di loro, nonostante abbia subìto l’abbattimento di un aereo e qualche elicottero e abbia dovuto bruciare un deposito di carburante nella città di Voronezh. Ci sono stati una quindicina di morti. 

A tarda sera, dopo essere arrivato indisturbato fino a 200 chilometri da Mosca, Prigozhin ha annunciato la retromarcia: “Ci fermiamo e torniamo in Ucraina per evitare un bagno di sangue”. Subito dopo il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha dichiarato all’agenzia Ria Novosti, che Prigozhin, che stavolta viene  ufficialmente nominato, sarebbe stato mandato in Bielorussia e le accuse contro di lui e contro i suoi mercenari sarebbero state ritirate. Il giorno successivo, Prigozhin ha pubblicato un messaggio audio di 11 minuti col quale ha attaccato, come fa da mesi, il ministro Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore Valeri Gerasimov e spiegato che non aveva nessuna intenzione di rovesciare il regime di Putin: la sua marcia era soltanto una protesta “per richiamare alle loro responsabilità quegli individui che hanno commesso un enorme numero di errori nell’operazione militare speciale ed evitare lo scioglimento della Wagner” (entro il primo luglio dovranno essere inquadrati nell’esercito regolare russo).  Si è anche permesso di dire che l’esercito non si è opposto ai suoi uomini in modo efficace.

Allora non è successo nulla? Eppure è stata conquistata e tenuta per una giornata una città grande come Napoli, Rostov sul Don: la gente ha accolto i militari con clamorose manifestazioni di simpatia (del resto per due anni, e Putin stesso continua a farlo adesso, sono stati definiti “eroi”!). A Mosca sono stati evacuati numerosi edifici pubblici anche non strategici (come la Galleria Tret'jakov, il Museo Puškin e la Casa della Cultura GES-2) e a alcuni centri commerciale come il Mega Belaya Dacha e il Kvartal. Una giornata di vacanza è stata proclamata. Il consigliere presidenziale ucraino Mikhaylo Podolyak ha commentato: “La divisione tra le élite è troppo evidente. Non funzionerà mettersi d’accordo e fingere che tutto sia sistemato. Qualcuno deve sicuramente perdere: o Prigozhin, o il gruppo anti Prigozhin”. Intanto a Prigozhin, nella sua sede di San Pietroburgo, hanno sequestrato 44 milioni di dollari e, secondo il giornale russo Kommersant, la Fsb e la Sbu stanno indagando su di lui e le accuse di rivolta armata non sono ancora state ritirate. Ma il Cremlino afferma il contrario.

Giustamente un dissidente russo ha commentato i fatti recenti, utilizzando una celebre frase di Karl Marx: “La Storia si presenta prima come tragedia e poi come farsa”. Questa al momento sembra l’ultimo, e non definitivo, atto della tragica farsa di una nazione che sta collassando (primo fra tutti il suo apparato militare) e che cerca di esternalizzare la sua crisi. Come ha detto chiaramente Prigozhin, prima di avventurarsi nella sua breve parodia di un colpo di stato, la posta in gioco dei macellai che hanno massacrato l’Ucraina erano soldi e carriere: non c’era nessun pericolo nazista in Ucraina, né una minaccia della Nato ai confini con la Russia. E ha anche aggiunto che 200.00 soldati russi sono morti nella guerra in Ucraina (e anche se fossero in realtà la metà sarebbe comunque una cifra enorme). Nel giro di quarantotto ore il suo discorso e quello di Putin hanno informato gli ignari cittadini russi che c’è una guerra vera e ingiustificata, con un costo altissimo, che la nazione è allo sbando ed è in atto una feroce lotta di potere con “mezzi non tradizionali”. 

Nuovamente la Russia ha conosciuto una farsa come quella dell’estate del 1991 (quando c’era ancora l’Unione sovietica e a causa di quei fatti si dissolse rapidamente). Il cosiddetto “putsch d’agosto” (ben evocato dallo scrittore Sergei Lebedev nel romanzo “Gente d’agosto”, pubblicato recentemente da Keller) fu uno strano tentato colpo di stato estivo per deporre il presidente Michail Gorbaciov e prendere il controllo del paese. Ne facevano parte: il capo del Kgb Vladimir Krjukov, il ministro della difesa Dmitri Jazov, il ministro degli affari interni Boris Pugo, il premier Valentin Pavlov, il vicepresidente Gennadi Janaev, il vice capo del Consiglio di difesa sovietico Oleg Baklanov, il segretario del Comitato centrale del Pcus Oleg Šenin. La gente allora scese in piazza e circondò gli edifici pubblici e bloccò i carri armati. Anche allora ci furono dei morti, celebrati poi con francobolli. Il fallimento del putsch rafforzò la figura di Boris Eltsin (presidente del soviet supremo della Repubblica russa), che si era opposto ai golpisti, e che successivamente depose Gorbaciov, accusandolo di non essere estraneo al colpo di stato, bandì il Pcus e si fece promotore del processo di dissoluzione dell’Unione sovietica che culminò il 26 dicembre dello stesso anno. 

La Russia non ha mai conosciuto la democrazia: soltanto violentemente, salvo qualche rara eccezione, avvengono i cambi di potere. E’ una costante della sua storia (sin dalla congiura dei boiardi, e anche prima). Intanto però i bombardamenti in Ucraina non sono cessati nemmeno per un attimo. E la centrale di Zaporizhzhia sta là minata, pronta a essere fatta esplodere come la diga, nell’ipotesi, non tanto remota, che i russi a questo punto passino, nel Donbas, a una “guerra asimmetrica” e provino a riattaccare l’Ucraina dalla Bielorussia (magari nuovamente con gli uomini della ex Wagner).

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