L'editoriale dell'elefantino
La guerra, il circo e il silenzio
Con una realtà delle cose così evidente, è umiliante assistere alla farsa delle polemiche mediatiche su Putin e l’Ucraina. Di fronte alla stoltezza dei piccoli clown con le idee di Moni Ovadia dovremmo imparare di nuovo a tacere
Il circo e le cose, una differenza ci sarà pure ed è umiliante assistere alla farsa delle polemiche mediatiche su Putin e l’Ucraina, che solo in Italia assumono dignità di discorso pubblico. I giornali e gli altri organi di informazione, la radio, i tg, tutto è pieno di realtà, di cose. Il mondo vero si presenta tragico, la morte alligna con il suo strazio quotidiano, si compiono parabole eroiche, la scena del conflitto è occupata da un viavai tormentoso di umanità, di soldi, di armi, di atti politici che realizzano l’intreccio della guerra e della pace in Europa. La decisione consapevole di molti, della maggioranza di uomini e donne, consiste nel cercare di capire. C’è una geografia dei combattimenti, il tremendo panorama delle colline, dei fiumi, dei ponti spezzati, dei confini mobili dell’attacco e del contrattacco, ci sono le pianure, le inondazioni, dighe che vengono fatte saltare, testimonianze, volti che parlano da casolari isolati, dalle città investite dalla tempesta d’acciaio e di fuoco. Una evidente paranoia dei poteri autocratici che hanno scatenato l’inferno spicca tra bande in guerra, poteri che traballano.
E’ quasi tutto in presa diretta. Qualcuno si è spostato nel teatro e da lì racconta, spiega e rispiega: l’evidenza di quello che succede è abbagliante anche per chi non si rassegna al divino, omerico dovere di prendere parte, anche per chi ha un metodo, un tono e una cultura della pace a oltranza, e magari della nonviolenza. Un saggio centenario come Kissinger, che fu parte decisiva della storia del secondo Novecento, che ha conosciuto e praticato bene e male della grande politica mondiale, coltiva le sue idee e le cambia, è capace di farsi sorprendere da questo grumo di realtà incandescente e con un filo di voce chiara, limpida restituisce la sua sorpresa, evolve, segue l’ossatura degli accadimenti. Servizi di intelligence e apparati militari, consigli Nato e governi diffondono nelle società aperte una quantità di notizie, speculano liberamente, segnalano avanzamenti e arretramenti di un’alleanza occidentale europea e atlantica ricostituitasi con tinte e toni da Seconda guerra mondiale.
Ci si domanda che cosa abbia a tal punto insonnolito, infreddolito, ovattato la percezione russa delle cose, la conversazione ordinaria e straordinaria tra quel popolo, quei popoli costretti a una mobilitazione sanguinaria, insensata, in nome di tremende menzogne neoimperiali spacciate per incontrovertibili verità di stato. Si va alla radice, al deposito culturale, si cercano risposte nella letteratura come specchio della coscienza collettiva. Si ripresenta la storia, quella vera e sporca storia di fatti e potere che sembrava scomparsa nell’irenismo della globalizzazione e dell’abitudine alla pace e alla democrazia, irrompe l’arte della guerra nella sua forma machiavellica, cinquecentesca, i mercenari, la lealtà, la vendetta, la rivolta. Si inseguono situazioni di pericolo estremo, si pensa perfino all’atomica. Le sanzioni contraddicono la cultura del welfare e del libero commercio, sono atti di difesa e di controffensiva dovuti, cambia la mappa dell’energia, delle materie prime, incalza l’inflazione con gli aumenti dei tassi delle banche centrali, la diplomazia è in subbuglio permanente, spie e speculatori cercano il loro spazio ovunque. In tutto questo, mentre il nostro mondo nuovo è investito da una bufera che riproduce tutti gli schemi di mondi vecchi, arcaici, mentre si fa evidente la necessità della presa sulla realtà delle cose, ci succede di abbassarci a commentare, disquisire, interloquire, come se la democrazia fosse un circo per piccoli clown, un balletto di opinioni vaghe, senza fascino, senza logica, con le idee di Moni Ovadia. Guadagneremmo anni di vita mentale, di intelligenza, e di educazione civile, guadagneremmo tempo per le cose, se imparassimo di nuovo a fronteggiare stoltezza, impreparazione, pregiudizio, ignoranza e sfrontatezza del circo dei bellimbusti con la divina arma del silenzio.