DOPO LA MARCIA RUSSA
Ora Putin vuole convincere i russi che con Prigozhin non è successo nulla. Intervista
Soltanto una porzione molto limitata della Russia ha avuto a che fare con la ribellione della Wagner. “Nel resto del paese è probabile che l’eco di questi giorni non sia arrivato per nulla", ci dice l'esperta di Harvard. Perché “è in corso da anni una specie di braccio di ferro tra propaganda e realtà"
Nella storia dello scontro tra la Wagner e il Cremlino nessuno dice la verità. Ma questo non significa che una verità non ci sia, solo che è incompleta. C’è la verità dei fatti che abbiamo visto succedere sabato, durante la marcia e la retromarcia della Wagner. Ma non sappiamo le ragioni per cui Evgeni Prigozhin ha marciato sulla Russia e poi si è fermato, né ovviamente quel che accade nel palazzo di Vladimir Putin. La mancanza di una verità completa e riconosciuta è uno degli elementi chiave della Russia di oggi, dove è “in corso da anni una specie di braccio di ferro tra propaganda e realtà”, dice al Foglio Emily Channel Justice, che dirige il programma di studio sull’Ucraina contemporanea dell’università di Harvard. “Le persone vedono quanto misera sia la loro vita sotto Putin, vedono i figli partire per il fronte, vedono le sanzioni che fanno male. Ma si sentono dire che non è vero. E dunque non sanno più se credere a loro stesse o a quello che tutti, tutti, dicono loro”.
Negli anni Channel Justice ha studiato da vicino gli spostamenti dell’opinione pubblica di Ucraina e Russia e il modo in cui la realtà cambia gli atteggiamenti delle persone e dirige le loro scelte politiche. “Tutto ciò che siamo abituati a pensare, negli Stati Uniti o in Europa, sul modo in cui gli eventi politici ricadono sulle scelte delle persone, in Russia non vale – dice – La realtà esiste e si vede anche lì, ma viene sistematicamente nascosta e negata. Sabato migliaia di persone hanno visto i miliziani della Wagner marciare sulle loro città dichiarandosi dei liberatori. Eppure da giorni si sentono dire che non è vero, che non è mai successo niente. La sfida dei prossimi mesi sarà capire chi vincerà il braccio di ferro, se la propaganda o la realtà. Per ora, però, direi che è in vantaggio la propaganda”. Soltanto una porzione molto limitata della Russia, quella sud-occidentale, ha avuto a che fare con la ribellione della Wagner, “ma nel resto del paese è probabile che l’eco di questi giorni sia arrivato molto attutito o che non sia arrivato per nulla – dice la studiosa – E se persino a Rostov e dintorni la gente fa fatica a scegliere a cosa credere, figuriamoci quanto può essere difficile farlo a centinaia di chilometri di distanza”. In ogni caso, se i russi al bivio tra propaganda e realtà scegliessero la realtà, poi non saprebbero molto che farsene della loro consapevolezza, non esistendo un’opposizione organizzata al regime. “In realtà l’opposizione a Putin c’è, ci sono persone, più di quante si sappia, che non sopportano più il regime, ma sono isolate e quindi inoffensive. Per fare davvero paura a Putin avrebbe bisogno di essere organizzate e unite. Il che è impossibile dal momento che non possono liberamente protestare e comunicare, non possono fare rete, non hanno accesso né ai canali di comunicazione né agli apparati pubblici. In questo modo, specie dopo quel che è accaduto ad Alexei Navalny, ogni voce che si leva contro Putin non può fare altro che un soliloquio”.
La propaganda putiniana arriva anche nell’Ucraina occupata, ma lì “purtroppo ci muoviamo al buio – dice Channel Justice – Sono anni che nessuno si preoccupa di chiedere a chi vive nel Donbas che cosa pensa. Sappiamo con relativa certezza che, almeno fino all’inizio della guerra, c’erano delle sacche di russofilia, anche se è difficile dire quanto fossero estese e radicate. Poi, dal febbraio 2022 siamo in black out completo. Non sappiamo che effetto abbia avuto la guerra sulle opinione delle persone che più di tutte vivono la guerra. La Russia, con il suo arrivo, aveva promesso forza e stabilità, ma ha portato solo guerra, violenza e miseria. Un dato di fatto che metterebbe a dura prova la russofilia di chiunque. E quindi lì, in quell’angolo di mondo su cui sono puntati gli occhi di tutti ma da cui non esce un fiato, forse al braccio di ferro sta vincendo la realtà”. Anche nel Donbas occupato però, perché la consapevolezza si trasformi in azione e progetto, occorrono organizzazione e possibilità di esprimersi e fare rete, quel che l’occupazione putiniana nega.