Minacce registrate

Vendicarsi dei propri generali non disposti a tutto è una ricetta per il caos – Trump edition

Paola Peduzzi

L'eventualità di fare una guerra contro l'Iran ora rispunta al processo dell'ex presidente americano

L’ultimo incontro che Donald Trump ebbe con il  capo di stato maggiore degli Stati Uniti, il generale Mark Milley, avvenne il 3 gennaio del 2021. Finì con una frase dell’allora presidente, che aveva già perso le elezioni due mesi prima ma non voleva farsene una ragione, sulla manifestazione prevista per il 6 gennaio fuori dal Congresso che, a Camere riunite, doveva certificare la vittoria di Joe Biden: “Sarà una cosa grossa – disse Trump, come ha raccontato lo stesso Milley a Peter Baker e Susan Glasser nel libro “The Divider”  – Siete pronti, vero?”. In quei due mesi di interregno tra le elezioni e l’insediamento del vincitore delle elezioni, che non era Trump, i rapporti tra il generale e il presidente si erano logorati, perché Milley si era reso conto che Trump era disposto a tutto pur di non lasciare la Casa Bianca. Quel “tutto” includeva anche l’eventualità di fare una guerra – contro l’Iran – e di organizzare un golpe – contro l’America.

 

Il generale disse negli incontri con i suoi collaboratori: Trump potrebbe organizzare un golpe, ma fallirà perché non riuscirà mai a portare dalla sua parte l’esercito americano, “noi siamo leali nei confronti della Costituzione americana”. Milley aveva scritto un documento preparatorio prima ancora delle elezioni, quando Trump ripeteva di fatto che avrebbe accettato un unico risultato, cioè la sua vittoria, in cui stabiliva quattro obiettivi: assicurarsi che l’America non muovesse una guerra non necessaria contro un paese straniero; assicurarsi che i soldati americani non fossero schierati contro i cittadini americani con il compito di  mantenere Trump al potere; mantenere l’integrità dell’esercito e la sua personale. Intanto il generale aveva cercato di disinnescare la possibilità di una guerra in Iran: Trump e i suoi collaboratori, che avevano sempre avuto un approccio falco nei confronti di Teheran, stavano valutando la possibilità di un raid missilistico contro i siti nucleari iraniani. 

 

Non una guerra, un blitz, ma dalle conseguenze imprevedibili, cosa che Milley  ribadiva a ogni incontro. Il generale andò anche personalmente a Gerusalemme a casa del premier Benjamin Netanyahu, per chiedergli di non fare pressioni su Trump: “Se le fai, avremo una cazzo di guerra”, disse Milley. L’incontro del 3 gennaio 2021 era stato voluto da Trump proprio per parlare d’Iran: un report dell’Aiea aveva nuovamente segnalato l’attività nucleare clandestina di Teheran. I falchi però si erano quietati, con gran sollievo di Milley: era troppo tardi, non era più utile. Utile a cosa? A conservare la presidenza Trump. Ora tutte le attenzioni erano rivolte alla manifestazione del 6 gennaio, il possibile golpe.

 

 Come sono andate poi le cose lo sappiamo, ma oggi questa storia è tornata d’attualità perché proprio i dissapori (salvifici) tra il comandante in capo e il suo generale potrebbero costare a Trump una condanna nel processo in corso sulla possibilità che l’ex presidente abbia commesso un reato federale conservando e mostrando illegalmente documenti segreti del governo americano e aver impedito alle forze dell’ordine di prenderne possesso. In una conversazione nel suo golf club a Bedminster, in New Jersey che si è svolta il 21 luglio 2021, Trump dice ai suoi interlocutori parlando in modo sarcastico di Milley: “Ha detto che volevo attaccare l’Iran, non è fantastico?”. Secondo i documenti processuali, Trump sventola dei fogli che sono un piano d’attacco contro l’Iran preparato da Milley e dice: “Questo dice che ho ragione io, anche se, sapete, sono documenti altamente confidenziali, da presidente avrei potuto renderli pubblici, ma ora no, sono top secret, ma che cosa fantastica”. Di fatto Trump ammette di essere in possesso di documenti top secret e di esserne a conoscenza: la sua linea di difesa è che di quegli scatoloni non ne sapeva niente. Ora l’ex presidente dice che si trattò di un atto di vanità, non è vero niente:  negare tutto, negare sempre, anche quel che si è detto. Ma l’ira contro il suo generale potrebbe costargli una condanna. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi