A Bruxelles
Ecco di cosa ha bisogno un'Unione europea a 35. Il vertice dell'Amigo
I leader di Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Romania, Paesi Bassi, Belgio, Portogallo e Svezia hanno iniziato a parlare di come riformare l'Europa per quando ci saranno 35 stati membri. Ucraina compresa
Spaccatura sulle politiche migratorie, conferma del sostegno all’Ucraina e accordo sulla riduzione dei rischi dalla Cina: il Consiglio europeo che si è chiuso ieri non entrerà nella storia come il vertice della svolta per l’Unione europea. Presi in ostaggio dai primi ministri di Polonia e Ungheria, i capi di stato e di governo dei ventisette hanno discusso per ore di un’intesa che era stata raggiunta a maggioranza qualificata dai loro ministri dell’Interno sul nuovo Patto su migrazione e asilo. Alla fine il polacco Mateusz Morawiecki e l’ungherese Viktor Orbán hanno confermato il loro veto su due paragrafi delle conclusioni sulle politiche migratorie, perché non accettano la solidarietà obbligatoria. I due sono usciti dal vertice sconfitti e ancor più isolati per i loro capricci sovranisti. Gli altri leader hanno semplicemente fatto spallucce per dire “ce ne infischiamo, noi andiamo avanti per la nostra strada”. Pazienza. In realtà, la riunione più importante per il futuro dell’Ue non si è tenuta nell’Europa Building, la sede del Consiglio europeo. L’incontro chiave c’è stato prima dell’inizio del vertice, all’Hotel Amigo nel centro di Bruxelles. Lì i leader di Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Romania, Paesi Bassi, Belgio, Portogallo e Svezia hanno iniziato a parlare di come riformare l’Ue per quando ci saranno 35 stati membri. Ucraina compresa.
Iniziare a disegnare l’Ue del futuro sarà un’impresa titanica, ma indispensabile se si vuole far entrare rapidamente l’Ucraina e mantenere le promesse fatte ai Balcani occidentali, alla Moldavia e alla Georgia. Il tempo stringe. Anche se le urgenze sono la controffensiva e le garanzie di sicurezza che dovranno essere decise al vertice della Nato a Vilnius, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha insistito giovedì con i leader europei sulla necessità di aprire il più presto possibile i negoziati di adesione. La scadenza dovrebbe essere il Consiglio europeo di dicembre. Il solo fatto che paesi tradizionalmente scettici sull’allargamento – come la Francia – abbiano deciso di sedersi al tavolo per discutere di come ristrutturare l’Ue per far entrare l’Ucraina dimostra la determinazione di tutti (l’unico dubbio riguarda Orbán). Attorno al tavolo della colazione all’Hotel Amigo c’erano Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Giorgia Meloni, Pedro Sánchez, Mateusz Morawiecki, Klaus Iohannis, Mark Rutte, Alexander De Croo, António Costa e Ulf Kristersson. Il tema all’ordine del giorno: “La capacità di assorbimento dell’Ue”. L’espressione viene usata a Bruxelles per dire che prima di allargarsi servono riforme interne. I temi di discussione non mancano, per le dimensioni dell’Ucraina e la situazione in cui si troverà il paese all’uscita dalla guerra.
L’ingresso di Kyiv, prima ancora di quello dei Balcani occidentali, avrà enormi ripercussioni sulla politica agricola comune, la politica di coesione, il bilancio dell’Ue e il processo decisionale. Molti stati membri che oggi sono beneficiari netti sui fondi europei diventeranno contributori netti. Altrettanti dovranno rinunciare agli aiuti agricoli o imporre all’Ucraina di essere esclusa dalla Pac. C’è il tema della libera circolazione dei cittadini che, come nel grande allargamento a est del 2004, rischia di avere ripercussioni politiche interne. Regola dell’unanimità in politica estera e fiscalità, seggi del Parlamento europeo, numero di commissari: l’Ue dovrà rimettere mano alle istituzioni. Ci sarà uno spostamento del centro di gravità verso est, con Varsavia sempre più influente e importante per la sua vicinanza a Kyiv e le dimensioni del suo esercito. Ci sono due visioni che si scontrano a ovest: quella tradizionale di Olaf Scholz di un’Ue che avanza tutta unita e quella innovativa di Emmanuel Macron di un’Ue a cerchi concentrici con alcuni più integrati. I dieci dell’Hotel Amigo sono “un campione” dei ventisette, ha spiegato il premier belga, Alexander De Croo, per giustificare il formato ridotto: oltre ai grandi e alle future presidenze, c’erano pro e contro allargamento, ovest ed est, grandi e piccoli. La discussione proseguirà al Consiglio europeo informale che si terrà in ottobre a Granada.
Per il resto, il vertice di ieri è stato “business as usual”. Sull’Ucraina, i ventisette hanno promesso di girare a Kyiv gli extraprofitti sugli attivi della Russia immobilizzati con le sanzioni (la stima di De Croo è di 3 miliardi l’anno). Sulla Cina, hanno benedetto una versione edulcorata del “derisking” proposto da Ursula von der Leyen (si farà la riduzione del rischio, ma l’Ue non si chiude). Sui migranti, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha letto una dichiarazione che riconosce il dissenso di Polonia e Ungheria. Ma si va avanti: nei negoziati con il Parlamento europeo sul nuovo Patto e nel lavoro della Commissione per fare accordi con i paesi terzi per bloccare le partenze e aumentare i rimpatri, a partire dalla Tunisia. “Siamo d’accordo in venticinque. Il lavoro continua. Non bisogna farne un problema”, ha detto De Croo. Il suo Belgio avrà la presidenza di turno dell’Ue nel primo semestre del 2024, quando dovrebbero concludersi i negoziati con il Parlamento europeo sul nuovo Patto su migrazione e asilo.
Dalle piazze ai palazzi