La collera della Francia sarà studiata per il suo nichilismo e le sue derive culturali
L’insurrezione TikTok e la nuova rete di insubordinazione. Il coprifuoco degli adolescenti e l’appello presidenziale alle famiglie indicano che nei territori perduti della Repubblica abita una generazione perduta, cresciuta nell’anarchia della rete e dei suoi strumenti di connessione, informazione, mobilitazione
L’insurrezione TikTok si è diffusa in un baleno in Francia, a macchia d’olio per tre notti consecutive, con le tecniche flash mob del mordi e fuggi. Un video ha mostrato un poliziotto uccidere un giovane di colore di diciassette anni che cercava di forzare un posto di blocco, e l’incendio si è propagato. Disordini simili si erano visti diciotto anni fa in circostanze analoghe, durarono tre settimane, portarono alla decretazione dello stato d’eccezione in seguito a saccheggi, attacchi alla polizia e a altre istituzioni e servizi pubblici, distruzioni e incendi. Ma qualcosa è cambiato.
Il presidente ha chiesto ai genitori di tenere i figli a casa, sono in corso sequestri di contenuti detti sensibili circolanti sui social, alcuni sindaci hanno decretato il coprifuoco per i minori, sono annullati due concerti rock allo Stade de France: l’età media degli oltre ottocento arrestati della notte tra giovedì e venerdì è diciassette anni, come Nahel, come la vittima del posto di blocco. Emozione aspra e identificazione vittimaria per un’esecuzione in diretta, scatenamento della collera sociale in quartieri o ghetti etnici degradati e sottratti da decenni all’autorità territoriale dello stato, il fallimento di generose e vaste politiche di risanamento e integrazione, l’estate e le scuole chiuse, tutto questo non esaurisce la spiegazione di quanto sta avvenendo. Il coprifuoco degli adolescenti e l’appello presidenziale alle famiglie indicano che nei territori perduti della Repubblica abita una generazione perduta, cresciuta nell’anarchia della rete e dei suoi strumenti di connessione, informazione, mobilitazione. Sono i figli dei quarantenni protagonisti dei moti di fine regno di Jacques Chirac, quasi vent’anni fa, quattro presidenti e otto primi ministri dopo.
Il modello operativo e psicologico della rivolta, che non ha leader ma ora è forte del sostegno di una estrema sinistra demagogica che al tempo era minuscola e ininfluente (Mélenchon ha detto: “Non faccio appello alla calma, faccio appello alla giustizia”), ha qualcosa di cieco, esprime un sinistro autolesionismo in comunità che escono letteralmente a pezzi dal confronto con i propri figli, e probabilmente è destinato a ripiegarsi su sé stesso nel tempo. Sta di fatto che con i gilet gialli, tutt’altra faccenda, partita come una guerriglia prolungata spinta dalle classi medie dei centri rurali e non dalle periferie urbane, e con la lunga e violenta battaglia contro l’aumento dell’età pensionabile guidata dai sindacati nelle forme estreme che si ricordano, compreso l’attacco diretto agli eletti della Repubblica e pratiche incendiare di casseur e black bloc, la Francia sperimenta ormai un’intero ciclo politico di ribellione e contestazione, un suo ciclo dell’anarchia le cui conseguenze politiche si potrebbero manifestare con l’ascesa del lepenismo riformato alla guida dello stato.
Sarà però studiata a lungo, una volta passato il culmine della crisi, che forse non è ancora nemmeno arrivato, questa rete adolescente di insubordinazione che colpisce perfino i pompieri, si abbatte nichilisticamente su strutture sociali di uso popolare e comune e costringe a bloccare in tutta la Francia i mezzi pubblici durante la notte, mentre si autorizza l’uso dei blindati nelle città, richiesto dal ministro dell’Interno dopo la riunione dell’unità di crisi.