Il racconto
L'ironia di Victoria Amelina, uccisa dai missili russi
Il festival della letteratura di New York, lo chiamava. New York nel Donbas, vicino al fronte. La scrittrice che raccontava i crimini russi e voleva riempire l’Ucraina di libri e risate
Victoria Amelina, trentasette anni, scrittrice e poeta ucraina premiata e tradotta all’estero, aveva vinto una borsa di studio della Columbia University a Parigi e si sarebbe trasferita lì in autunno con suo figlio di dodici anni, in un piccolo appartamento che guarda Montmartre. Era felice, ma le dispiaceva lasciare l’Ucraina. Il figlio vive in Polonia dall’inizio della guerra, al sicuro, lei lo vedeva poco perché al sicuro non c’è mai stata. Però l’estate scorsa l’ha portato a Venezia a vedere le gondole, ha raccontato la sua amica Yaryna Grusha in un articolo su Linkiesta.
Victoria faceva quello che non poteva non fare: la scrittrice in un paese aggredito. Testimoniava, raccontava, ascoltava i soldati di ritorno dal fronte, scriveva, mandava lunghi messaggi. E’ stata ferita gravemente la settimana scorsa nella pizzeria di Kramatorsk dove sono state uccise le due gemelle di quattordici anni che cenavano con il padre. E’ morta oggi in ospedale. Victoria quella sera era in pizzeria con un gruppo di scrittori colombiani, li accompagnava a documentare i crimini di guerra russi: cercava sostegno per il suo paese attraverso le parole. Anche con l’Italia aveva molti contatti ed era fiera di parlare dell’Ucraina, di mettersi a disposizione degli autori internazionali, di mostrare il sense of humour degli ucraini anche mentre dicono: lo vedete che cos’è l’Ucraina adesso? Siamo come voi, vogliamo essere come voi, o almeno come ci immaginiamo, come speriamo che siate. Victoria Amelina ha creato due festival letterari, uno a Kramatorsk e uno a New York. Non New York con la Statua della Libertà, ma un’altra New York in cerca di libertà e di diritto di esistere in pace: New York, piccola città ucraina vicina al fronte. “Quando ho fondato il festival della letteratura di New York in un piccolo villaggio chiamato New York nel Donbas, ovviamente ero ironica. Dopotutto, l’ironia è ciò che rende grande la letteratura. L’autoironia ha reso il villaggio di New York un posto fantastico. I russi non hanno autoironia. Sono così seri riguardo a sé stessi”, ha scritto Victoria Amelina su Twitter, dopo che i russi hanno bombardato anche il sito del festival, a fine maggio.
“Ma gli ucraini sopravviveranno, rideranno e faranno festival di letteratura, non guerre – in tutte le New York possibili. Lo prometto”. Festival di letteratura, non guerre. Victoria Amelina era appena stata al Book Arsenal di Kyiv, il Salone del Libro ucraino. Rideva, viaggiava sui treni di notte, rispondeva a tutti i messaggi, portava aiuto, scriveva poesie, portava al collo un cuore rosso di melograno e aveva appena lavorato a un’antologia in inglese, Looking at Women Looking at War: War and Justice Diary. Avrebbe dovuto fotografare pagine di libri, suo figlio, qualche bel tramonto, invece fotografava macerie e palazzi sventrati e continuava a cercare prove e a scrivere poesie, a leggere poesie ai festival letterari che in Ucraina non smettono di fare passi avanti nella comprensione del mondo, non smettono di cercare in noi la comprensione di questa nuova consapevolezza. Che c’è ancora da capire, da provare? Victoria ha scritto in versi che la guerra si è mangiata anche la punteggiatura. Ha scavato con le mani nella terra per trovare il diario di uno scrittore ucraino ucciso dai russi. E’ stata uccisa dai missili russi mentre cercava di rendere giustizia all’ingiustizia subita da lei stessa, da suo figlio lontano, dalle gemelle che avevano appena ordinato la pizza e ridevano e pensavano all’estate.