Tra roma e bruxelles
In Ue non ci sarà una maggioranza tutta a destra. Meloni collaborerà con socialisti e liberali?
La prima scelta che dovrà fare la premier dopo le elezioni europee del giugno 2024 è sul futuro presidente della Commissione europea. Una decisione che avrà implicazioni su quelle successive e sul ruolo che vorrà avere l'Italia: partecipare pienamente al governo europeo o restare relegata ai margini
Bruxelles. In vista delle elezioni europee del 2024 la domanda non è se il Ppe sceglierà di allearsi con la destra nazionalista, ma se Giorgia Meloni accetterà di cooperare con gli odiati socialisti e liberali nella grande coalizione che continuerà a governare l’Unione europea. Una nuova maggioranza tutta di destra non ci sarà. Lo ha confermato lunedì la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, tracciando una linea rossa tra “gli estremisti che guardano al passato” e “noi, i gruppi democratici centristi, che affrontiamo i cambiamenti”. La linea rossa solleva domande che nessuno ha ancora posto al presidente del Consiglio: Meloni è pronta ad allearsi con popolari, socialisti e liberali (forse anche con i verdi) per eleggere e sostenere la prossima Commissione?
In Italia le elezioni europee vengono guardate con le lenti della politica nazionale, dove il voto popolare dovrebbe produrre alternanze destra-sinistra. Ma l’Ue è una struttura democratica sovranazionale e multidimensionale, che richiede una costante ricerca di compromessi. Occorre trovare una maggioranza non solo al Parlamento europeo, dove siedono i deputati eletti direttamente dai cittadini, ma anche al Consiglio, dove sono rappresentati i governi, anche loro legittimati dalle elezioni nazionali. Dentro il Parlamento europeo, le proiezioni attuali indicano che una maggioranza tutta di destra è impossibile: a un’alleanza tra Ppe, destra sovranista ed estrema destra mancherebbero almeno una quarantina di seggi. Politicamente, i liberali di Emmanuel Macron non si coalizzeranno mai con l’estrema destra di Marine Le Pen, così come i popolari polacchi non hanno intenzione di collaborare con i nazionalisti del PiS. Dentro il Consiglio le maggioranze variano con il cambiare dei governi nazionali e le linee di divisione politica sono dettate più dagli interessi nazionali sui singoli provvedimenti che da manifesti politici europei. Per tutte queste ragioni le grandi coalizioni tradizionalmente sono la governance naturale dell’Ue per cercare un consenso – o almeno una maggioranza la più ampia possibile – sia tra famiglie politiche sia tra stati membri. La Commissione ne è lo specchio. In quella di von der Leyen siedono nove popolari, nove socialisti, sei liberali, un verde e perfino due sovranisti (i commissari polacco e ungherese).
La prima scelta che dovrà fare Meloni dopo le elezioni europee del giugno 2024 è sul futuro presidente della Commissione. La nomina è di competenza dei capi di stato e di governo, che decidono a maggioranza qualificata. Tra un anno, anche in caso di cambio di governo in Spagna, popolari, liberali e socialisti continueranno ad avere la maggioranza al Consiglio europeo. Anche se il Ppe avrà il maggior numero di leader, i due paesi più grandi e influenti, Germania e Francia, saranno ancora governati da un socialista e un liberale. Meloni sosterrà la riconferma della popolare von der Leyen, se questa sarà la scelta anche di socialisti e liberali? E se non sarà von der Leyen, Meloni voterà a favore di un presidente socialista o liberale? Dentro il Consiglio europeo i quattro paesi guidati da leader sovranisti – Italia, Polonia, Ungheria e Repubblica ceca – non hanno una minoranza di blocco per impedire la nomina di un presidente della Commissione di sinistra o di centro. Nel 2019 il compromesso sulle nomine – oltre a von der Leyen, il liberale Charles Michel per il Consiglio europeo e il socialista Josep Borrell come Alto rappresentante – fu sostenuto dal premier polacco, Mateusz Morawiecki, e da quello ungherese, Viktor Orbán.
La prima scelta che dovrà fare Meloni ha implicazioni su quelle successive e sul posto che l’Italia occuperà nell’Ue nei cinque anni successivi. La seconda scelta riguarda la conferma del presidente della Commissione da parte del Parlamento europeo. Gli eurodeputati di Fratelli d’Italia voteranno a favore del nome uscito dal Consiglio europeo, come fecero quelli del PiS polacco e del Fidesz ungherese nel 2019? Sostenere o no il candidato presidente della Commissione avrà conseguenze sulla terza scelta di Meloni: indicare il commissario italiano e negoziare il suo portafoglio, evitando che sia bocciato dal Parlamento europeo. Nel 2019 Polonia e Ungheria furono ricompensate da von der Leyen con due portafogli di fascia media: Agricoltura e Allargamento. Nominare un commissario europeista e competente aiuta a ottenere un portafoglio di peso e a superare lo scoglio del Parlamento europeo. L’ultima scelta che dovrà fare Meloni è se approvare tutta la nuova Commissione, compreso il suo programma. Un “no” sarebbe uno schiaffo al commissario nominato da Meloni. Un “sì” significherebbe votare con popolari, socialisti e liberali. La scelta, alla fine, è tra far partecipare l’Italia al governo dell’Ue o relegarla ai margini in nome della contrapposizione con socialisti e liberali.
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