gli scambi del sultano
La Nato ora è larga, Erdogan ha dato il suo assenso per l'ingresso della Svezia. Gli sgarbi a Putin
Il presidente turco ha detto finalmente di sì all'ingresso di Stoccolma nell'Alleanza. Il protocollo di adesione sarà presentato presto al Parlamento turco. Gli altri fronti con il leader russo
Nel giro di due giorni il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha disubbidito agli accordi presi con Mosca sugli scambi di prigionieri russi e ucraini di cui è mediatore, ha chiesto di restaurare il percorso d’accesso della Turchia all’Unione europea come condizione per togliere il suo veto all’ingresso della Svezia alla Nato e al vertice dell’Alleanza a Vilnius ha triangolato con Stoccolma e con Bruxelles per l’allargamento fino a dare il suo consenso. Il protocollo di adesione sarà presentato entro breve al Parlamento turco per la ratifica.
Poiché Erdogan è al potere da vent’anni ed è stato estremamente mutevole (beffardo, feroce) nel suo approccio alla politica internazionale; poiché sa di essere cruciale per il futuro dell’Alleanza atlantica e dell’assetto occidentale; poiché è uno che più è in difficoltà (e le condizioni economiche della Turchia sono disastrose) più alza la posta per ottenere il massimo guadagno e che ha un livello di spregiudicatezza datogli dall’aver gestito il potere in modo autocratico, ogni sua decisione implica dei costi, ma certo sono stati due giorni sorprendenti. Erdogan ha parlato della volontà di legare l’ingresso della Turchia nell’Ue a quello di Stoccolma nella Nato con il presidente americano Joe Biden, che non ha voce in capitolo sulla questione, ma poi ha negoziato con gli interlocutori diretti. Il presidente turco sa che l’eventuale scongelamento dell’ingresso della Turchia nell’Ue – la procedura è bloccata dal 2016, la voglia di riaprirla ora è pari a zero, i requisiti richiesti non sono stati soddisfatti – richiede tempo.
L’allargamento della Nato non poteva attendere tanto, perché il veto turco (c’è anche quello ungherese, ma nessuno lo conta perché Budapest ha già detto, europeissimamente, che farà quel che decide Ankara, quindi ora ci si aspetta un avvio della procedura della ratifica anche da parte sua) ha un costo immediato e alto per la reazione compatta degli alleati nella difesa dell’Ucraina contro la Russia. Ogni ritardo nell’allargamento è un aiuto a Vladimir Putin e il presidente turco se n’era assunto la responsabilità aggiungendo condizioni quando quelle già poste erano state parzialmente soddisfatte (con un costo umano elevato: vanno letti gli appelli dei cittadini turchi che vivono in Svezia, che sono scappati dalla Turchia perché avevano legami con i curdi o con il movimento di Gülen e che ora rischiano tutto). Ma per Mosca il desiderio europeo di Erdogan, per quanto possa essere cosmetico, è comunque una notizia raggelante, così come lo è l'allargamento della Nato.
Il presidente turco ha appena fatto uno sgarbo enorme a Putin riconsegnando all’Ucraina i comandanti di Azov della resistenza nell’acciaieria Azovstal di Mariupol. I cinque combattenti erano stati scambiati nel settembre dello scorso anno ed erano in Turchia con “la personale garanzia” di Erdogan, dicono i resoconti, per la loro sicurezza e per la loro permanenza sul suolo turco fino alla fine della guerra: in sostanza, il presidente turco non avrebbe dovuto rimandarli in Ucraina. Invece lo ha fatto, il governo di Volodymyr Zelensky ha trasformato il “ritorno degli eroi” con una festa di abbracci e di popolo e di onorificenze e di selfie, i comandanti hanno detto di essere a disposizione per la difesa dell’Ucraina fin da subito e lo sgarbo di Erdogan è diventato ancora più sfrontato. Non è dato sapere se nel bazar del presidente turco fosse tutto calcolato, se il ritorno degli eroi avesse a che fare con l’allargamento della Nato, ma nei conteggi va messo anche l’accordo sul grano, che è l’unico patto che Putin non ha (più o meno: il giorno dopo la firma bombardò Odessa, per dire) violato e che ora è in scadenza. E’ un accordo di cui Erdogan è garante, conviene anche a Putin altrimenti non avrebbe retto, ma ora è terribilmente in forse.