Pechino teme la Nato allargata, non i suoi nuovi membri
L’aggressività di Pechino riguarda anche la Nato, dicono i leader al Summit di Vilnius. Che cosa pensano gli intellettuali cinesi della guerra in Ucraina e perché le ipotesi di patti e accordi tra paesi occidentali e Pechino sono poco credibili
L’anno scorso, al Summit di Madrid, “mi sono concentrato sul senso di unità e solidarietà. Nel vertice di quest’anno mi concentrerò sull’istituzionalizzazione della nostra cooperazione”, ha detto ieri il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol incontrando a Vilnius il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Per la seconda volta nella storia l’annuale riunione dei capi di stato dei paesi Nato ospita anche i leader di quattro potenze dell’Indo-Pacifico – Corea del sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda – con cui verranno firmati accordi di partnership. Non è l’ingresso della Svezia, della Finlandia o addirittura quello dell’Ucraina nella Nato a spaventare la Cina, spiega al Foglio una fonte diplomatica qualificata, ma questo allargamento ai paesi “like minded”, cioè che la pensano allo stesso modo, specialmente nel giardino di casa di Pechino. La leadership cinese, che cerca di costruire un’opposizione convincente all’ordine del mondo a guida occidentale, è spaventata soprattutto dalla capacità dell’Alleanza di avere nuovi partner, e non nuovi membri.
Perché l’allargamento geopolitico della Nato – e in generale delle piattaforme occidentali come Quad e Aukus – nel resto del mondo è una minaccia per l’espansione anche militare della Cina. Lo ha spiegato ieri sul China Daily Zhou Rong, dell’Università Renmin, che ha scritto: “La Corea del sud sta per essere giapponesizzata, e il Giappone sta per essere Nato-lizzato, la Nato sta per essere globalizzata. E’ una tendenza pericolosa ed è una sfida non solo per la sicurezza della Cina, ma anche per la pace, la stabilità e la sicurezza nella regione dell’Asia-Pacifico”. E del resto nel comunicato finale del summit di Vilnius la Cina è menzionata in modo inedito per quindici volte: “Le ambizioni dichiarate e le politiche coercitive della Repubblica popolare cinese sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori”, si legge. “Restiamo aperti a un impegno costruttivo con la Cina”, ma Pechino è un problema che riguarda ufficialmente la Nato, anche nella sua “profonda e strategica partnership con la Russia”.
Le ipotesi di patti e accordi tra paesi occidentali e Pechino per aiutare alla risoluzione del conflitto tra Mosca e Kyiv, con un coinvolgimento diretto cinese nei negoziati, si scontrano quindi con l’idea generale dell’establishment cinese, secondo la quale “l’America sta strumentalizzando la guerra in Ucraina e il coinvolgimento della Nato nel conflitto come parte dei suoi sforzi per contenere non solo la Russia, ma anche la Cina”, si legge nel policy brief pubblicato ieri del programma “In:Sight China” dell’Ecfr. Gli autori, Mark Leonard e Alicja Bachulska, hanno intervistato una trentina di intellettuali ed esperti strategici cinesi provenienti da università, think tank e organi affiliati al Partito comunista cinese, dalle quali si evince che “se gli Stati Uniti sono il principale rivale della Cina, è fondamentale che l’America non sconfigga e umili la Russia. Un importante studioso cinese ha sostenuto che i destini politici di Xi e Putin sono intrecciati. In quanto leader dei due maggiori stati autoritari del mondo, che manifestano entrambi ambizioni revisioniste, il loro obiettivo comune è quello di rimodellare l’ordine internazionale guidato dagli Stati Uniti per renderlo più sicuro per le autocrazie e per la sopravvivenza dei loro regimi”.