Il paese del mistero

In Thailandia il leader progressista Pita non raggiunge la maggioranza. La normalità impossibile

Massimo Morello

A Bangkok i tempi della politica sono monsonici, si protraggono a lungo ma sono prevedibili. Una democrazia "normale" che sembra negata come l'esito del voto

Il 14 maggio, data delle elezioni thailandesi, nel Regno era una domenica d’estate. La stagione delle piogge è iniziata il 5 giugno. Il 13 luglio il Parlamento si è riunito per nominare il primo ministro ma non è stata ottenuta la maggioranza. La seconda votazione, probabilmente ancora infruttuosa, è prevista per il 19 luglio. In Thailandia i tempi della politica sono monsonici. Si protraggono a lungo ma sono prevedibili. “Se la Thailandia fosse una democrazia normale Pita sarebbe già in carica”, scrivono Francesca Regalado e Dominic Faulder sul Nikkei Asia riferendosi a Pita Limjaroenrat, 42 anni, leader di Move Forward, il partito progressista che ha ottenuto una clamorosa vittoria con 14 milioni di voti, il 62 percento dell’elettorato. “Alla Thailandia dev’essere concessa la possibilità di formare un governo che risponda al volere degli elettori e riporti la normalità nella politicaha twittato Pita.

 

In Thailandia la normalità sembra negata come l’esito del voto ed è più vaga del sayasat, il sovrannaturale. "Il New York Times mi ha chiamato per un’intervista perché volevano l’opinione di un mago", dice al Foglio Edoardo Siani, antropologo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha studiato i misteri della tradizione thai, sino a diventare lui stesso un “mago”. "La Thailandia appare così. Si cerca il mistero". “L'impossibilità di essere normale” è il titolo perfetto di quanto sta accadendo in Thailandia, lo stesso del film del 1970 che rappresentava una generazione intrappolata tra contestazione e omologazione. La differenza è che qui, ora, la normalità è opposta alla repressione, al conservatorismo. La normalità è evocata dalla generazione tradita di giovani contestatori. Il sistema è incarnato nei “dinosauri”, i militari, gli ultraconservatori, i rappresentanti dell’ammart, l’aristocrazia.

 

Secondo Thitinan Pongsudhirak, politologo di riferimento per chi segue le vicende thailandesi, il ritardo nella nomina del primo ministro ha offerto ai centri di potere “la possibilità di trasformare il volere della nazione in un vantaggio per i loro interessi”. Ma anche questa analisi improntata a un pragmatismo di matrice kissingeriana maschera una situazione che è stata definita con termini ricorrenti: una farsa, una sciarada, grottesca, caotica, assurda. La nuova costituzione thai, promulgata dalla giunta che ha preso il potere nel 2014, infatti, rende superflua qualsiasi analisi. Secondo questo simulacro di Carta – altra definizione frequente - dei 750 membri del parlamento solo 500 sono eletti. I 250 senatori sono nominati dal governo, a sua volta emanazione della giunta militare. Per ottenere la maggioranza utile alla nomina del primo ministro sono quindi necessari 376 voti, 64 in più di quelli su cui può contare Pita con la sua coalizione. Ne ha ottenuti 324, compresi 13 senatori, segno di un certo risveglio di coscienze.

 

Si spiega così l’ultimo e più frequente aggettivo riferito alla situazione thai: ridicola. Basti pensare che una delle accuse rivolte a Pita e al Move Forward, è stata di voler cambiare la data della festa nazionale, dal 5 dicembre, giorno di nascita del venerato e compianto re Rama IX, al 24 giugno, riferendosi al giorno del 1932 in cui fu proclamata la fine della monarchia assoluta. La vera “colpa” del Move Forward è che quell’eventuale cambio di data sia il segnale di una delegittimazione della monarchia, uno dei tre grandi pilastri, con la religione e la nazione, della khwampenthai, la thailandesità. Quei valori che il generale Prayuth Chan-o-cha ha dichiarato di aver difeso, da quando ha preso il potere con il golpe del 2014, e come primo ministro per nove anni. Clamorosamente sconfitto alle elezioni, Prayuth si è dimesso alla vigilia delle votazioni per la nomina del nuovo primo ministro, probabilmente per lasciare il campo a un candidato conservatore più presentabile.

 

In nome dei sacri valori, Pita e il suo partito sono stati accusati di “voler rovesciare il governo democratico con il re quale capo di stato”. In altre parole, del crimine di tentata repubblica. Sarebbe questa, secondo i detentori dei poteri forti thailandesi, il vero obiettivo della proposta del Move Forward di modificare la legge 112 del Codice penale sul reato di lesa maestà. Se tale accusa fosse ritenuta vera il partito sarebbe disciolto e Pita potrebbe essere accusato di colpe ben più gravi di quella che già potrebbe impedirgli di diventare primo ministro, ossia di avere una minima partecipazione in un’emittente televisiva. In realtà la modifica della 112 è limitata alla sua applicazione, che permetta a chiunque di avvalersene per motivi politici, e che in tale forma si rivela un’arma potentissima nelle mani di chi detiene il potere.

 

Questo ridicolo, grottesco intreccio di accuse è reso ancor più intricato dal compagno di strada del Move Forward, il populista Pheu Thai, avatar del partito di Thaksin Shinawatra, il multimiliardario divenuto primo ministro e deposto da un colpo di stato nel 2006. Un partito che probabilmente sta preparando il suo candidato a primo ministro, che potrebbe anche essere Paetongtarn Shinawatra, figlia di Thaksin. Il Pheu Thai potrebbe avere il sostegno dei militari e dei conservatori, relegando il Move Forward all’opposizione. In alternativa il Pheu Thai potrebbe impegnarsi a sostenere un candidato populista-conservatore e ottenere un’amnistia per Thaksin che potrebbe tornare in patria e conoscere i suoi nipoti. In ogni caso trionferebbe il prachaniyom, il populismo, che accomuna popolo ed élite come il gusto per il som tam, l’insalata di papaya verde, nei confronti del fronte progressista (i cui candidati sono spesso “accusati” di non prestarsi a dimostrazioni culinarie). Paradossalmente tra le tante opzioni questa potrebbe anche essere quella “via di mezzo” di stampo buddhista auspicata da tutti coloro che temono nuove rivolte e una nuova e più violenta ritorsione militare. Essere normale” in Thailandia sembra proprio impossibile.

Di più su questi argomenti: