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Gli ucraini che vivono in Polonia che a casa sono chiamati “traditori”

Francesco M. Cataluccio

Storie di donne, bambini e uomini scappati dalla guerra. Per i maschi la domanda: perché non sei al fronte?

Nell’ufficio postale di Mokotów, centro sud di Varsavia, l’impiegata è una giovane ucraina che ancora non parla benissimo il polacco. Una signora con un bambino si avvicina allo sportello e chiede, con accento e parole che anche tradiscono la sua origine ucraina, di poter inviare una raccomandata. Le due si parlano non nella propria lingua. L’impiegata si rivolge al bambino per fargli un complimento. Quello le risponde in un perfetto inglese, dicendo che lui parla solo inglese perché frequenta una scuola americana della capitale polacca. Fuori dall’edificio la signora si dirige verso una lussuosa Rover con targa ucraina. Se ne vedono parecchie per le strade di Varsavia o parcheggiate davanti a ristoranti e locali, dove si sente parlare spesso ucraino.

  

Quattro milioni di ucraini stanno oggi in Polonia (soprattutto, ma non solo, donne, bambini e anziani), dei quali oltre 400 mila soltanto a Varsavia e dintorni, in attesa della fine della guerra e della possibilità di tornare a casa propria (se ci sarà ancora). Una percentuale del 15 per cento è molto benestante e, col passare dei mesi, si è ricostruita una vita normale. Diversi hanno comprato un’abitazione e, quelli che già non lavoravano da casa per aziende straniere, spesso hanno aperto attività commerciali: bar, panetterie, uffici di servizi per compatrioti, import di merci da mandare in Ucraina. Ci sono anche medici, avvocati e psicoanalisti ucraini, al servizio di una comunità vasta e variegata.

  

Fuori dalle grandi città, molti lavorano nelle campagne e nell’industria. A Ujezdziec Mały, un piccolo paese agricolo nella regione di Breslavia, la Tarczynski, una delle più importanti industrie di insaccati della Polonia, impiega quasi soltanto personale ucraino (così come l’altra azienda a Bielsko-Biała, nella regione della Slesia). Osieck, un villaggio vicino a Otwock, nel voivodato della Masovia, sembra ormai un pezzetto di Ucraina trapiantato in Polonia.

  

La Polonia sta svolgendo, e sempre più svolgerà, un ruolo fondamentale per l’Ucraina. I secolari rancori e le violenze sono stati messi da parte dalla maggior parte dei polacchi, anche se tra i nazionalisti di destra non mancano coloro che, a ogni occasione, soffiano sul fuoco del malcontento verso i “privilegi” concessi ora agli ucraini, ricordando i massacri dei polacchi in Volinia e Galizia orientale, nel periodo 1943-1945 (secondo lo storico Timothy Snyder, quella pulizia etnica fu un tentativo deliberato di impedire allo stato polacco del dopoguerra di affermare la propria sovranità sulle aree a maggioranza ucraina che facevano parte dello stato polacco prebellico). 

  

Questo cambiamento di atteggiamento dei polacchi verso gli ucraini si deve soprattutto al fatto che i due popoli si sentono accomunati dalla minaccia russa. Lo psichiatra Andrzej Leder spiega la sorprendente solidarietà dei polacchi con il fatto che, al di là del confine, “stanno combattendo anche per loro”. Tra la popolazione c’è la sensazione che se gli ucraini non si fossero opposti ai russi, pagando prezzi altissimi, le truppe di Putin oggi sarebbero nei Paesi baltici e minaccerebbero la Polonia.

  

Terminato il periodo di temporanea attesa della fine del conflitto nel proprio paese, i figli delle profughe ucraine hanno avuto bisogno di una sistemazione meno precaria e isolata, soprattutto di poter andare a scuola. La città ha garantito l’inserimento dei bambini negli asili e nelle primarie assieme agli alunni polacchi, per quanto riguarda le medie e le superiori vige un sistema misto che si avvale parzialmente della didattica a distanza organizzata direttamente dal ministero dell’Istruzione di Kyiv. I bambini e i ragazzini, a parte la grande sofferenza per essere lontani dai propri padri, aver visto dispersi gli amici e sapere che i luoghi dove abitavano sono devastati, paiono essersi adattati meglio. Grazie anche all’affetto che ricevono dalle loro madri e parenti. Invece sono, comprensibilmente, le donne ucraine a sopportare peggio questa situazione di rifugiate lontane da casa. Molte che sono dovute fuggire rapidamente hanno perso quasi tutto. Potevano portare con sé soltanto una valigia. Tetiana, 40 anni, che lavora in una panineria nella via principale di Varsavia, racconta di aver ficcato in quella valigia, prendendoli dall’armadio senza pensarci, diversi vestiti eleganti, che oggi non le servono a niente. Quel gesto se lo spiega con la voglia ostinata di portarsi dietro la bellezza, col desiderio inconscio di continuare una vita normale. 

  

Ivanna ha 37 anni e non ama essere chiamata “rifugiata”. Non è la questione dello status giuridico, che la Polonia offre alle donne ucraine con una protezione temporanea dalle molte opzioni. Crede che un rifugiato sia sempre guardato con pietà, come una persona debole, povera e dipendente che ha bisogno delle cose più semplici: essere nutrita e vestita: “Sì, all’inizio avevamo bisogno di vestiti e cibo. Siamo arrivati qui con una sola borsa in spalla. Mi sentivo così vuota e spaventata che per molto tempo ho avuto paura di guardarmi allo specchio. E quando mi guardavo, non mi riconoscevo: vedevo una donna spaventata, vecchia e sola. La prima cosa che ho fatto è stata accorciare le trecce, cambiare pettinatura, anche se non l’avevo mai avuta così corta. E poi mi sono costretta a vivere di nuovo, da zero”.

  

La venticinquenne Viktoria è originaria di Donetsk ed è fuggita due volte dai russi. Parla russo, inglese e ha già imparato il polacco. Canta dall’età di cinque anni e ha partecipato a festival e concorsi in tutta l’Ucraina. Ora insegna canto e tiene corsi di vocalterapia ad altre donne ucraine: “Insegno a liberare le emozioni negative e le paure attraverso il canto. Nelle mie lezioni le donne piangono spesso per la solitudine. Hanno bisogno di piangere per iniziare a parlare dei loro problemi. Quanto a lungo si può vivere senza la vicinanza di un uomo amato? Non avere un affetto vicino ci fa sentire inferiori. Ma molte trovano umiliante parlare di problemi apparentemente banali come la solitudine, quando si ha qualcosa da mangiare, un posto dove stare, un lavoro”.

  

In particolare a Varsavia si possono notare parecchi giovani uomini ucraini. Agli ucraini di età compresa tra i 18 e i 60 anni non è consentito lasciare il paese senza un permesso speciale, con alcune eccezioni come i padri single. Ai giovani ucraini che vivono in Polonia viene spesso chiesto, dai propri connazionali ma anche dai polacchi, perché non sono al fronte e non combattono per difendere la loro patria.

  

Michalina Bednarek e Halina Chalimonik hanno pubblicato, sul quotidiano Gazeta Wyborcia (9 maggio 2023), alcune interviste con  giovani ucraini, celati dietro un nomi di fantasia. Molti uomini si sono rifugiati in Polonia nei primi due giorni di guerra, quando regnava il caos al confine e il divieto di espatrio non era ancora stato annunciato. Dmitry è un veterinario. E’ fuggito con la sua famiglia da Leopoli il primo giorno di guerra, quando appunto non era ancora vietato. Ritiene di avere degli obblighi prima di tutto verso la sua famiglia, e solo dopo verso l’Ucraina. Né lui né sua moglie avevano nessuno in Polonia. All’inizio stavano impazzendo. Dmitry ha persino pensato di tornare in Ucraina, ma sua moglie non voleva rimanere in Polonia da sola con i due figli piccoli. Era terrorizzata: “La capivo. Non sono andato a difendere il mio paese, ma ho deciso di rendermi utile come meglio potevo. All’inizio ho dato una mano curando gratuitamente e vaccinando gli animali arrivati dall’Ucraina (tutti i profughi si portano dietro i propri gatti e cani). Penso di essere più utile in Polonia che al fronte. Compro anche e dono medicinali per curare gli animali rimasti in Ucraina.  Ospitiamo le persone che sono fuggite dalla guerra nel nostro vecchio appartamento. Questo è il mio contributo alla vittoria. (...) Non ho paura del fronte e se non avessi avuto figli, sarei andato là già da molto tempo. Ma ora ho una famiglia e non posso permettere che mia moglie debba lottare da sola per la sopravvivenza. Ho fatto la mia scelta pur sapendo che  quelli come me sono chiamati traditori”.

  

Anton è uno che non è tornato. Vive in Polonia da sette anni. Fa l’informatico e ha un lavoro stabile. Dice che i programmatori ucraini sono molto apprezzati in Polonia: “Quando è scoppiata la guerra, ero appena tornato a casa dal lavoro. Ho ascoltato gli appelli dei miei compatrioti affinché tornassi a combattere con loro contro Putin. Ho provato un’irrefrenabile paura per la mia vita. Mi sono anche reso conto che al fronte avrei dovuto uccidere qualcuno, prima o poi. Ma, conoscendomi, sicuramente prima qualcuno avrebbe ucciso me. Anche da bambino non ho mai litigato e fatto a pugni con nessuno”.  Anton ha riflettuto su quanto aveva già ottenuto in Polonia e su quanto sarebbe stato difficile per lui lasciar perdere tutto: un lavoro redditizio, l’appartamento in un complesso residenziale che sta pagando, la sua vita in un nuovo paese. Anche i suoi genitori gli hanno consigliato di rimanere in Polonia, perché quando decideranno di fuggire, avranno un posto dove stare. Anton aiuta il suo paese inviando ogni mese circa 500 dollari al conto dell’esercito ucraino e pacchi di viveri ad amici e parenti. A casa sua ha ospitato fino a 15 profughi ucraini. Nonostante questo, lui e i suoi colleghi che hanno scelto di non tornare in Ucraina incontrano molte difficoltà ad avere legami sentimentali: “Le donne polacche con cui parlo su Tinder fanno sempre una domanda, e proprio all’inizio della conversazione: ‘Perché sei qui e non lì?’ Le donne ucraine non vogliono nemmeno parlare con noi, perché per loro siamo traditori”. 

  

Molti sono i metodi per entrare illegalmente in Polonia. Quello più più comune è  falsificare i documenti: certificati medici di invalidità, morte della moglie, persino certificati di nascita. Gli ucraini si scambiano moduli con i timbri di varie istituzioni, li stampano, scrivono i loro dati a penna e falsificano le firme. Il prezzo di un falso è di circa 1.500 dollari. Gli uomini cercano persino di travestirsi da donne e presentare alla frontiera i documenti delle loro fidanzate o mogli. Le guardie di frontiera li fotografano. Di recente hanno arrestato un residente di Odessa che aveva lasciato la Polonia per l’Ucraina per festeggiare la Pasqua con i parenti e voleva tornare in Polonia travestito da donna. 

  

Non si sa quanti uomini abbiano lasciato illegalmente l’Ucraina dall’inizio della guerra per rifugiarsi in Polonia. Secondo i dati forniti da Andriy Demchenko, portavoce del Servizio di frontiera dello stato ucraino, tra il febbraio dello scorso anno e l’aprile di quest’anno, i servizi ucraini hanno registrato 11 mila tentativi illegali di attraversare il confine.  Ogni giorno, le guardie di frontiera ucraine trattengono una ventina di uomini in età di leva che tentano di lasciare l’Ucraina illegalmente verso la Polonia.

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