Foto Ansa 

L'analisi

In Francia c'è una realtà parallela che il mondo politico-intellettuale non vede

Mauro Zanon

Sulle rivolte, “se vogliamo rimanere frequentabili non dobbiamo dire ciò che vediamo”, dice Alain Finkielkraut al Figaro. Le ragioni profonde e le conseguenze dei conflitti seguiti alla morte del giovane Nahel 

“E’ sempre difficile guardare in faccia la realtà. Se, come l’ex capo della Dgse (l’intelligence esterna francese, ndr) Pierre Brochand sul Figaro, qualificate i sei giorni di rivolte come ‘un’insurrezione contro lo stato nazionale francese di una parte significativa dei giovani di origine extra-europea presenti sul suo territorio’, siete segnati: siete razzisti, l’élite mediatica e culturale appone la lettera scarlatta su tutto ciò che fate e tutto ciò che siete. L’antirazzismo non ha più nulla a che fare con l’etica. Per nostra sfortuna, è diventato una messinscena e uno strumento di intimidazione. Per aver osato sottolineare che alcuni rivoltosi gridavano il loro odio nei confronti della Francia e bruciavano la bandiera tricolore, François-Xavier Bellamy (eurodeputato dei Républicains, il partito gollista, ndr) è accusato dal quotidiano di riferimento (Le Monde, ndr) di diffondere la ‘vecchia retorica dell’estrema destra’. Se si vuole essere ancora frequentabili nel 2023, come nel 2005, non bisogna soprattutto dire ciò che si vede. Siamo intimati, in nome del Bene, a dire cose false. Ma che morale è una morale che esige il sacrificio della verità?”.

Alain Finkielkraut, filosofo e membro dell’Académie française, autore di saggi che hanno segnato profondamente il dibattito intellettuale come “La défaite de la pensée” (Gallimard, 1987) e, più recentemente, “L’identité malheureuse” (Stock, 2013), è stato intervistato da Eugénie Bastié sul Figaro per analizzare le ragioni profonde e le conseguenze delle rivolte che hanno incendiato la Francia per una settimana, in seguito alla morte del giovane Nahel durante un controllo di polizia a Nanterre, a ovest di Parigi. Ne esce un quadro spietato sullo stato di salute della Francia, paese in cui una parte del mondo politico-intellettuale continua a non voler vedere la realtà anche quando essa esplode in tutta la sua asprezza e brutalità come sono esplose le sommosse, e trascina l’opinione pubblica in una “realtà parallela”. Finkielkraut, in particolare si sofferma sul ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, che ha negato “la spiegazione identitaria” delle rivolte urbane, aggiungendo che tra i facinorosi c’erano soprattutto dei Kevin e dei Matteo, intendendo con questi nomi dei cittadini bianchi ed europei e non i figli dell’immigrazione araba e africana. “Questa esternazione ricorda le dichiarazioni del ministro dell’Interno dopo gli incidenti dello Stade de France in occasione della partita Liverpool-Real Madrid (finale di Champions League del 2022, ndr). Kevin e Matteo sono i degni successori dei tifosi inglesi, e noi, ancora una volta, siamo trasportati in una realtà parallela. Con questi due nomi, inoltre, Gérald Darmanin sancisce, senza nemmeno rendersene conto, l’atto di morte della Francia di Claude Sautet. Non sono più i Vincent, i François, i Paul, i Pierre o i Jacques che vengono in mente in maniera spontanea.

Tra islamizzazione e globalizzazione, la nostra società salta a piedi pari nell’èra post nazionale. Reinserire i francesi di origine francese così come i francesi di fresca data in una storia collettiva, e ridargli un’eredità: è questa la missione che dovrebbe portare avanti, con urgenza, il ministero dell’Istruzione. Ma non sta percorrendo questa strada. Il ministro (Pap Ndiaye, ndr) preferisce lanciare l’allarme contro i media che non gli piacciono”, ha detto al Figaro Finkielkraut. L’esecutivo ha precisato che il 90 per cento dei facinorosi che hanno messo a ferro e fuoco la Francia ha un passaporto francese, spiegando che non esiste alcun rapporto tra gli autori delle violenze e l’immigrazione. “Il 90 per cento dei rivoltosi ha una carta d’identità francese. Ma è proprio per questo motivo che è grave”, ha sottolineato al Figaro Finkielkraut, prima di aggiungere: “Sono dei francesi in regola che detestano la Francia e che, incendiando le sedi dei comuni, le scuole e i commissariati, le dichiarano guerra. Sono dei francesi che a Nanterre hanno vandalizzato il monumento ai martiri della Resistenza e della Deportazione. Quelli che hanno scritto ‘Bande de chiennes on va vous faire une Shoah’ hanno il mio e il suo stesso passaporto. Non resta quasi nulla della comunità nazionale: non formiamo più un popolo”. Uno dei timori più grandi di Alain Finkielkraut è quello di un’alleanza esplosiva tra l’estrema sinistra francese guidata da Jean-Luc Mélenchon e quelli che il leader della France insoumise considera i nuovi dannati della terra, gli abitanti di quella controsocietà francese, separatista, che, come ha spiegato Pascal Bruckner in una riflessione sul Figaro, trovano ogni pretesto possibile per scatenare la propria “collera pavloviana” verso una République di cui detestano i valori e non riconoscono l’autorità. “Jean-Luc Mélenchon disprezza Renaud Camus (scrittore e intellettuale vicino alla destra identitaria che ha teorizzato la ‘Grande Sostituzione’, ossia il rimpiazzo etnico-identitario delle popolazioni bianche, europee e di cultura cristiana da parte delle popolazioni di origine arabe e africane e di cultura islamica, ndr), ma condivide la sua diagnosi. Crede fermamente nella grande sostituzione.

Forte del suo risultato straordinario alle elezioni presidenziali nel dipartimento della Seine-Seine-Danis (il dipartimento con il più alto numero di figli dell’immigrazione extra-europea, indicato da Camus ma anche dal leader politico della destra radicale Éric Zemmour come il simbolo della ‘Grande Sostituzione’, ndr), punta sul cambiamento demografico per accedere al potere”, secondo Finkielkraut. Mélenchon e i suoi compagni di partito, durante il picco delle rivolte, non hanno mai lanciato un appello alla calma, anzi, hanno soffiato sul fuoco, parlando di “violences policières”, ossia di violenze sistemiche della polizia, e hanno flirtato con i rivoltosi quando scandivano questo slogan: “Tout le monde déteste la police”, tutti odiano la polizia. “Calpestano i princìpi fondamentali della gauche, la France insoumise attaccata in modo violento quelli che non vogliono vedere le abayas, simboli dell’islam, invadere i licei e le scuole medie”, attacca Finkielkraut. E ancora: “Cos’è diventata la sinistra? Come appartenere ancora a essa quando si è sinceramente di sinistra? Penso tuttavia che Mélenchon e i suoi accoliti abbiano sbagliato i calcoli. Numerosi abitanti, giovani e meno giovani, dei quartieri ‘popolari’ sono nauseati dalle distruzioni che hanno colpito anzitutto le loro esistenze. Spero dunque che la France insoumise pagherà nelle urne le sue vergognose palinodie e la sua demagogia senza limiti”. Sandrine Rousseau, deputata e volto noto dei Verdi francesi, ha detto che le violenze che si sono abbattute nelle banlieue in seguito al dramma di Nanterre sono esclusivamente figlie della “povertà”, che la colpa è tutta della Francia e dei governi che si sono susseguiti al potere e hanno aggravato l’esclusione di quei territori. “Se fosse soltanto Sandrine Rousseau…Tutti gli editorialisti pieni di buoni sentimenti spiegano che le violenze urbane sono la conseguenza delle violenze della polizia, della ghettizzazione, delle difficoltà alimentari delle banlieue, del rafforzamento delle diseguaglianze sociali attraverso le diseguaglianze scolastiche. Il male che ci viene fatto, secondo loro, deriva dal male che facciamo. E’ riparando i nostri torti che riusciremo a mettere fine all’odio di cui siamo il bersaglio.

Dobbiamo imperativamente scusarci, riscattarci, per i terribili danni che abbiamo appena subìto. La sociologia dominante affoga l’evento nelle sue presunte cause. Il bersaglio – la République française – diventa il colpevole”, analizza Finkielkraut. “Dalla miseria alle discriminazioni, questi ‘ragazzini’, come dice affettuosamente Mélenchon, sono ‘schiacciati dai problemi’. Perché allora, dai commerci di prossimità alle biblioteche bruciano coscientemente tutte le soluzioni ai loro problemi? Ci si rifugia nella negazione della realtà per sfuggire a questa constatazione vertiginosa: le rivolte non sono un problema da risolvere con nuove sovvenzioni ai quartieri sensibili, ma l’episodio più spettacolare di una disintegrazione e di uno scontro continui”, spiega l’accademico francese. Nel suo “L’identité malheureuse”, pubblicato dieci anni fa, Finkielkraut aveva già messo in fila lucidamente i malesseri di un paese in declino dal punto di vista identitario, che ha rinunciato al suo modello di integrazione, l’assimilazionismo, per abbracciare un multiculturalismo che oggi si è trasformato in multiconflittualismo. “Che significa ‘ritorno alla calma’ (l’appello e auspicio espresso dal presidente Macron che, fino all’ultimo, ha riflettuto sull’ipotesi di decretare lo stato d’emergenza, ndr) se non una quotidianità ritmata dalle aggressioni, dalle provocazioni, dai regolamenti di conti e dal traffico di droga, talmente più seducente per alcuni che l’impegno a scuola e talmente più lucrativo che un lavoro salariato? Bisogna infine avere il coraggio (e il buon senso) di dirlo: se l’immigrazione continuerà con questo ritmo (più di 500 mila arrivi sul territorio francese solo nel 2022), il vivre-ensemble sarà soltanto un coprimiserie e la disintegrazione diventerà ineluttabile”, ha detto al Figaro Finkielkraut. Quanto è alto il rischio che Marine Le Pen, già in cima ai sondaggi, possa diventare la prossima inquilina dell’Eliseo nel caso in cui si azionassero altre rivolte di questo tipo? Secondo il filosofo francese, se la leader sovranista dovesse vincere le presidenziali del 2027, “il partito della negazione della realtà stilerebbe immediatamente una lista nera degli intellettuali che hanno abituato il nostro paese alle idee di estrema destra. Ma è un’altra menzogna”. “Il Rassemblement national prospera sul rifiuto ostinato di aprire gli occhi e di chiamare le cose con il proprio nome. Il non pensiero dei benpensanti è il migliore agente elettorale di Marine Le Pen”, afferma Finkielkraut, prima di concludere: “Diagnosticare il presente, è questo il compito che ci spetta e che dobbiamo portare a termine, costi quel costi”.

Di più su questi argomenti: