Pita Limjaroenrat (AP Photo/Sakchai Lalit) 

La Corte thai sospende il progressista Pita. La democrazia negata

Massimo Morello

Mentre il Parlamento era riunito per votare la nomina del primo ministro la Corte costituzionale ha ordinato la sua sospensione dalla carica di parlamentare e decretato che non potrà essere candidato alla carica di premier

Il mito di Sisifo è stato preso a metafora di ciò che accade in Thailandia: il continuo rincorrere la democrazia che, ogni volta che sta per essere raggiunta, svanisce per riapparire più lontano, ai limiti dell’immaginazione.


È ai limiti dell’immaginazione quanto accaduto ieri: il Parlamento era riunito per il secondo turno di votazioni per la nomina del primo ministro. Ma prima che la votazione iniziasse la Corte costituzionale ha ordinato la sospensione dalla carica di parlamentare di Pita Limjaroenrat, il leader del Move Forward, il partito progressista che ha vinto le elezioni del 14 maggio. Pita ha dovuto abbandonare l’aula. Ma non è bastato: qualche ora dopo la sua uscita di scena il Parlamento ha decretato che Pita non potrà essere candidato alla carica di primo ministro. La Corte costituzionale, infatti, ha accettato il ricorso presentato dalla commissione elettorale secondo cui Pita avrebbe violato le norme elettorali in quanto detentore di azioni di un’emittente televisiva. Azioni che Pita ha ereditato dal padre e ha conservato per ottenere un risarcimento dall’emittente che ha interrotto le trasmissioni nel 2007. 

 
Proprio come nel mito di Sisifo, si ripete quanto accaduto nel 2019, quando Thanathorn Juangroongruangkit, leader di Future Forward, il partito progressista che aveva ottenuto un inaspettato successo alle elezioni, venne privato della sua carica di parlamentare. Il partito fu sciolto l’anno successivo dal governo dell’ex generale Prayuth Chan-ocha, autore del golpe del 2014, ma risorse dalle sue ceneri come Move Forward. Il partito di Pita Limjaroenrat, Move Forward, rischia lo stesso destino, se fosse giudicata credibile l’accusa di voler rovesciare la monarchia costituzionale. Sarebbe questo, secondo i detentori dei poteri forti thailandesi, il vero obiettivo della proposta del Move Forward di modificare l’articolo 112 della costituzione, che regola il reato di lesa maestà.

 
La “squalifica” di Pita è un pretesto quasi incomprensibile, dato che sarebbe stato nuovamente sconfitto, come già accaduto alla prima votazione. Secondo la Costituzione thai, promulgata dalla giunta militare, dei 750 membri del Parlamento solo 500 sono eletti. I 250 senatori sono nominati dal governo, a sua volta emanazione dei militari. E per ottenere la maggioranza utile alla nomina del primo ministro sono quindi necessari 376 voti, 64 in più di quelli su cui può contare Pita con la sua coalizione. 


Come scrisse Ennio Flaiano, “Dev’esserci qualcuno che continua a spostare la soglia del ridicolo”. Ma questo “ridicolo”  è il frutto dell’arroganza di coloro che si ritengono i detentori della thailandesità. Un’arroganza, che appare in un altro scenario già descritto dal Foglio: “La sindrome birmana”. Come raccontava un esponente della resistenza birmana, ai generali non bastava il potere, “volevano il potere assoluto, volevano distruggere l’avversario”. E’ questa volontà che potrebbe spiegare il comportamento dell’apparato che si oppone alle riforme proposte dal Move Forward. Un’opposizione che va oltre gli interessi politici ed economici dell’ammart, l’élite finanziaria e militare. E’ qualcosa che attiene alla cultura radicata nel profondo della khwampenthai, la thailandesità, cui è stato dato un valore trascendente. Sono i princìpi cui si ribella il Sisifo di Camus nel suo “Saggio sull’Assurdo”, quello che ha ispirato Kong Rithdee, scrittore e sceneggiatore, nell’editoriale in cui ne evocava il mito. Tra i tanti sottintesi di quel mito, la ribellione può uscire dalla latenza. 


Paradossalmente c’è  da sperare che venga nominato primo ministro Srettha Thavisin, uomo d’affari e candidato designato dal Pheu Thai, il partito populista che si ispira, e non solo, a Thaksin Shinawatra, il multimiliardario divenuto primo ministro e deposto da un colpo di stato nel 2006. Il Pheu Tai, secondo alle elezioni, si è coalizzato con il Move Forward in opposizione ai partiti sostenuti dai militari. Rispetto al Move Forward, però, il Pheu Thai non osa infrangere molti dei tabù thailandesi, primo fra tutti la revisione della legge sulla lesa maestà. 
 

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