Alleati duraturi

Il sostegno a Kyiv di Regno Unito e America non è in pericolo. Il caso Ben Wallace

Paola Peduzzi

Le dimissioni del ministro della Difesa inglese e il rimpasto. Gli aiuti all'Ucraina senza esitazioni e il "consenso assoluto sul fatto che entrerà nella Nato"

Milano. Prima che la Russia invadesse l’Ucraina, il 24 febbraio del 2024, il ministro della Difesa inglese, Ben Wallace, e la sua controparte ucraina, Oleksi Reznikov, parlavano in codice: le armi che il Regno Unito voleva inviare all’Ucraina – l’intelligence angloamericana continuava a dire: Mosca sta per invadere, e il resto del mondo diceva: isterici guerrafondai – erano nelle loro conversazioni delle forniture di whisky. “I missili anti carro Nlaw erano Glenfiddich, i missili anti nave erano Islay”, ha detto Wallace al Sunday Times: “Gli scrivevo dicendo: ‘Ho del whisky per te’ oppure ‘Il whisky sta arrivando’. Avevamo i nostri codici, ministro per ministro”. Alla vigilia dell’invasione, Wallace andò a Mosca, incontrò il ministro della Difesa Sergei Shoigu, che gli mentì in faccia dicendogli che non ci sarebbe stata alcuna invasione. “Ci scambiammo dei regali, gli diedi una bottiglia di Glenfiddich. Non sapeva cosa significasse”.

 

Wallace ha annunciato le sue dimissioni dal ministero della Difesa domenica scorsa, ma aveva già preso la sua decisione – comunicata al premier Rishi Sunak – il 16 giugno: pensava di aspettare settembre per l’annuncio, ma poi al vertice di Vilnius della Nato della settimana scorsa ha detto una frase che è stata mal interpretata (in chiave anti ucraina) e sono usciti i retroscena sulla bocciatura, da parte dell’Amministrazione Biden, alla sua candidatura a segretario generale dell’Alleanza. Poiché l’ostinazione a intravedere spaccature tra Kyiv e gli alleati occidentali è molto forte, il ministro della Difesa più filoucraino che c’è, uno che ha deciso di aiutare Volodymyr Zelensky quando neppure lui era convinto di averne bisogno, uno che ha spinto per mandare missili, poi carri armati poi jet spezzando tabù uno via l’altro, uno che a Washington è considerato “too pushing”, per quanto è determinato, è finito per sembrare quello che finalmente dice la verità: “Non sono Amazon”, ha detto Wallace a Vilnius riferendosi alla lista delle richieste militari fatta da Kyiv. Nei giorni di Vilnius, in cui Zelensky è stato critico nei confronti della Nato perché si aspettava che fosse stabilito l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza “alla fine della guerra”, Wallace ha fatto il poliziotto cattivo. “Bisogna dimostrare gratitudine in un modo o nell’altro”, ha detto, “avevo già detto l’anno scorso al governo ucraino, di fronte a una lista di richieste, che gli alleati non sono Amazon”. L’ha detto perché poteva farlo: il suo sostegno all’Ucraina è senza esitazioni. L’ha detto assieme a un’altra frase importante molto meno ripresa. 

 

 “C’è un consenso assoluto sul fatto che l’Ucraina entrerà nella Nato, culturalmente è una cosa ormai accettata. Quando questo avverrà dipende da alcune condizioni, ma stiamo parlando ora di ‘quando’ non di ‘se’”. La valanga era ormai però formata: del vertice di Vilnius è rimasto attaccato a molti commentatori che l’America si è stufata dell’Ucraina, che pure il Regno Unito è insofferente, che la controffensiva sta andando male e che Zelensky insiste, isolato, a voler continuare la guerra. Era già accaduto in passato: per i cosiddetti realisti, ogni dissapore o divergenza tra Kyiv e l’occidente diventa un modo per dire che gli ucraini non possono vincere, si accontentassero di quel che hanno ottenuto finora. Poiché Wallace ha una lunga carriera militare e politica alle spalle e le idee chiare, ha precisato il suo commento non proprio felice su Amazon dicendo: l’Ucraina deve rendersi conto che in molti paesi non c’è il sostegno che c’è nel Regno Unito, che è al 70 per cento, e che “non dobbiamo parlare a noi stessi ma sforzarci di raggiungere cittadini in altri paesi che non sono persuasi” che l’appoggio a Kyiv deve continuare fino alla vittoria. Questo appoggio deve essere “incoraggiato”. Gli ucraini, che un alleato serio e impegnato lo sanno riconoscere, lo hanno ringraziato. 

 

Anche gli Stati Uniti stanno lavorando a questo incoraggiamento, tanto più che il 2024 è un anno elettorale e il sostegno incondizionato che garantisce Joe Biden all’Ucraina sarà messo in discussione (lo è già). Wallace non ha preso bene il rifiuto di Washington, così come non ha preso bene i commenti negativi di Sunak sulla faccenda Amazon: si è dimesso anche da parlamentare, ma a fine legislatura per non infliggere un’altra elezione suppletiva al premier. Un rimpasto sì, forse già oggi.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi