La Wagner è nella Repubblica centrafricana per restarci
La politica del paese è in ostaggio degli uomini di Prigozhin, che all’azione militare uniscono quella della propaganda prorussa e antioccidentale. Le violenze, i piani di Mosca, la convivenza con l’Onu: viaggio a Bangui
A un mese dall’ammutinamento del gruppo Wagner, non è chiaro quali siano oggi i rapporti tra Vladimir Putin e i mercenari guidati da Evgeni Prigozhin. Due giorni dopo il presunto golpe, però, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov si è affrettato ha precisare che “centinaia di militari stanno lavorando nella Repubblica Centroafricana e questo lavoro continuerà.”
“Hai visto la bandiera russa su quell’edificio? E le vedi queste bandiere sulle moto? Sono ovunque! Le persone sono contente dei russi perché sono i nostri salvatori.” Con il braccio fuori dal finestrino Fidèle Gouandijka indica uno per uno i segni di quel sostegno, mentre la sua auto avanza lentamente, alzando nugoli di polvere rossa. Sta andando a fare la spesa al mercato in uno dei quartieri più poveri di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Ai lati della strada, una folla infaticabile cammina sotto un sole che non dà tregua. “Tutto quello che dicono su di loro sono fake news della propaganda occidentale. Il 99 per cento della popolazione è con i russi che sono qui”. Per quarant’anni Gouandjika è sopravvissuto ai dissidi della politica centroafricana. Arrestato negli anni ’70 perché si opponeva all’imperatore Bokassa, è ininterrottamente ministro dal 2005 al 2013, l’anno in cui scoppia la guerra civile che lo costringe a lasciare il paese. Dopo la fragile tregua firmata nel 2015, torna a Bangui. Oggi è consigliere del presidente della Repubblica Faustin-Archange Touaderà, l’uomo che per primo ha aperto le porte del paese ai russi. “Il territorio era ancora occupato all’80 per cento da ribelli e terroristi. E grazie alla Russia la Repubblica Centrafricana ha sventato un colpo di stato sanguinario”. Gouandijka parla dell’assalto alla capitale che i ribelli hanno lanciato nel gennaio 2021. Un golpe fallito, secondo il vecchio politico, soprattutto grazie alla presenza dei militari russi, irrilevante che appartengano alla Wagner o ad altro: “La Russia può inviarci Wagner, Beethoven o Schopenhauer. Per noi sono solo nomi, l’importante che siano russi che vengono qui a salvare la Repubblica Centrafricana.” Gouandjika si aggira tra i banchi del mercato, un caos di lamiere, calca e frastuono, dove l’odore acre della cassava, esposta all’umidità incandescente dei tropici, penetra nelle narici. “Vedete? La gente mangia a sazietà. Ci sono verdure, carne, c’è tutto. E’ grazie alla Russia che c’è la pace qui. E quando c’è la pace, la gente mangia.”. Conosce tutti, scherza con la gente, si intrattiene con i commercianti e, prima di lasciarci, lancia il suo monito al mondo: “Noi siamo l’ariete della civilizzazione russa e faremo tutto ciò che è in nostro potere affinché la sua influenza copra tutta l’Africa centrale, l’Africa intera e forse il mondo".
Da quando sono arrivati nel paese, i militari russi formano la guardia del corpo del presidente Touaderà, presidiano aeroporti e caserme, addestrano l’esercito, controllano la sicurezza delle miniere. Secondo Keita, il coordinatore di una ong che registra le violazioni dei diritti umani sulla popolazione, avrebbero ormai in mano il paese: “All’inizio il presidente aveva chiamato gli uomini della Wagner per liberare il paese. Adesso si sono stanziati e non può far nulla. Alcuni ministri del governo ci hanno detto che è diventato un loro ostaggio. Se oggi decide di mandarli via, si appoggeranno a qualcun altro per fare un colpo di stato. E nessuno può protestare. Hanno tutti paura. Se parli ai microfoni di una radio, la sera stessa avrai una visita a casa. Sarai portato via, arrestato e forse giustiziato”. Per le strade i Wagner si vedono raramente. A volte si possono incontrare nell’unico centro commerciale di Bangui, in divisa militare e con il volto coperto da maschere, fucile automatico a tracolla. Un esercito fantasma di cui nessuno sa nulla. Sono loro però a guidare la controffensiva che, nel giro di un anno e mezzo, ha praticamente annientato i ribelli, suscitando l’entusiasmo della popolazione. “Siamo fieri della Wagner perché ha portato la pace nel paese”. “Non vogliamo che i russi vadano via, senza di loro non possiamo andare avanti.” E’ ciò che si sente dire in una delle frequenti manifestazioni di sostegno alla Russia, dove le bandierine bianche, rosse e blu si alternano agli slogan “Je suis Wagner!” “Nous aimons la Russie!” stampati su striscioni e magliette. Punto di arrivo di queste marce è il grande incrocio stradale davanti allo stadio, dove una statua di bronzo mostra un gruppo di soldati russi, armi spianate, nell’atto di proteggere un’indifesa donna centroafricana e il suo bambino. In un ironico e inquietante cortocircuito semantico che orgogliosamente autodenuncia la propria sovranità limitata, quasi tutti i soldati dell’esercito nazionale centroafricano portano sulle loro uniformi ufficiali lo stemma della Wagner: il teschio bianco al centro del mirino di un fucile automatico.
Sicurezza in cambio di risorse, sarebbe questo l’accordo che, attraverso una serie di contratti con il governo, permette alle società russe di avere il controllo dei siti minerari: non solo oro e diamanti, ma anche terre rare, metalli non ferrosi, legname. Se le notizie sono difficili da reperire, anche su questo fronte la gente non sembra scandalizzarsi: “Se ci sono dei contratti regolari e pagano le tasse, non c’è problema. L’importante è che ne benefici il popolo centroafricano.” E’ quanto si sente rispondere quasi sempre. “E poi, voi occidentali, cosa avete fatto fino a ieri? I francesi sono stati qui per decenni e guardate lo stato del paese”. Già, la Francia. Il recente amore per la Russia è pari solo al sentimento antifrancese e antioccidentale cresciuto negli ultimi anni. Forse anche per l’opera di persuasione messa in campo dalla Russia anche tramite un contagio culturale: un centro che organizza corsi di lingua, distillerie di birra e vodka, concorsi di bellezza, film che celebrano le gesta della Wagner contro i ribelli, emittenti radiofoniche che diffondono la versione russa sull’ “operazione speciale” in Ucraina, una rete di gruppi pronti a farsi sentire contro l’arroganza dei colonizzatori occidentali.
A essere guardata con diffidenza è ormai anche la missione dell’Onu, che si trova in Repubblica Centrafricana sin dal 2014. “La gente pensa che dobbiamo sostituirci allo stato centroafricano. Non capiscono che la forza delle Nazioni Unite deve proteggere i civili senza minarne l’autorità.” Ci spiega Guy Karema, il portavoce della missione che incontriamo nel quartier generale di Bangui, una città nella città. La missione costa quasi 1 miliardo di dollari l’anno e conta circa 15.000 militari, provenienti da quasi 50 paesi. “Abbiamo elicotteri, blindati, armi. E ci sono le pattuglie dei caschi blu che servono a mostrare ai malfattori che possiamo utilizzare la forza fisica”. Tra i compiti dell’Onu c’è quello di impedire che vengano inflitte violenze sulla popolazione civile. “Le minacce arrivano principalmente dai gruppi ribelli. Ma quando analizziamo i rapporti sulle violazioni dei diritti dell’uomo, vediamo che ci sono anche altri attori che minacciano la sicurezza della popolazione. Ci sono quelli che noi qui chiamiamo ‘altro personale di sicurezza’”. Prima dell’intervista ci hanno chiesto di non citare mai il gruppo Wagner. Allora chiedo se questo ‘altro personale di sicurezza’ non sia la nota agenzia privata di sicurezza. La risposta del portavoce è evasiva: “I rapporti dell’Onu non parlano mai di ‘agenzia privata di sicurezza’, ma forse è meglio chiedere alla Divisione dei diritti umani.” Quando domando quali siano le violenze registrate nei report, il portavoce ribadisce che non può rispondere salvo poi aggiungere: “Ci sono violazioni da parte di forze dello stato, come il fermo prolungato, e poi altri tipi di violenze, fisiche, che possono andare fino allo stupro e alla morte della persona”.
Secondo l’Onu, durante l’offensiva contro i ribelli, la Wagner si sarebbe resa responsabile di numerose violazioni dei diritti umani. Informazioni confermate dall’organizzazione americana The Sentry che, in un report uscito a fine giugno, accusa il gruppo di aver messo in atto una strategia del terrore: torture, esecuzioni, stupri, mutilazioni, inflitte indiscriminatamente ai ribelli e alla popolazione. In particolare alla comunità musulmana, considerata la principale sostenitrice dei gruppi armati. Racconta ancora Keita che nel 2021 la sua ong ha documentato “181 casi di stupri da parte dei combattenti della Wagner, di cui 80 riguardano minorenni. Abbiamo documentato anche più di 800 casi di omicidi, persone uccise dalla Wagner, giustiziate dalla Wagner, sgozzate dalla Wagner”. Ci parla dei raid russi nelle moschee, durante la preghiera all’alba, con i fedeli che vengono arrestati, incappucciati e portati in prigioni private. Da quel momento nessuno li vede più: “Mio fratello è stato ucciso dentro una moschea, in un villaggio. Durante un conflitto a fuoco con i ribelli, la gente si era rifugiata nella moschea. Loro sono entrati e hanno iniziato a sparare. Così hanno ucciso mio fratello”. Quando gli chiediamo se non ha paura di documentare tutto ciò, Keita sorride amaramente. “Certo che ho paura. Ho ricevuto molte minacce di morte da parte della Wagner. Sono sei mesi che non dormo più a casa mia. Sono venuti anche qui in ufficio. Era un mese e mezzo che non ci venivo. E’ per voi che sono qui. Quando finiamo me ne vado, e non so quando tornerò”.
Dal 2018 in Repubblica Centrafricana il gruppo Wagner sembra aver agito come il braccio della politica estera russa, ma cosa accadrà dopo il tentativo di ammutinamento del 24 giugno? Difficile dirlo ma sembra difficile che la presenza russa nel paese possa essere messa in discussione. A prescindere dal destino della Wagner e del suo leader. Il capo può essere sostituito, il gruppo rinominato. La strategia di Putin può rimanere la stessa. Il 27 luglio si tiene a San Pietroburgo il secondo summit russo-africano, dopo quello di Sochi del 2019, dove si prevede un’ampia partecipazione di capi di stato del continente.
(Lunedì 24 luglio alle 23.15 andrà in onda su Rai Tre “Russi d’Africa”, il documentario realizzato a Bangui da Federico Lodoli e Carlo Gabriele Tribbioli)