Foto Ansa

caccia al traditore

Perché ora l'arresto di Igor Girkin

Mentre il Cremlino minaccia in modo irrealistico la Polonia, si sta rafforzando il legame tra chi non ha mai voluto la guerra e chi la voleva e non sa come uscirne

Micol Flammini

La notte in cui Prigozhin ha iniziato la sua marcia era scattato il piano "Fortezza" per proteggere Mosca dagli ammutinati. Era scattato, ma nessuno si è mosso. Adesso Putin cerca di fermare gli scontenti, chi fomenta e chi potrebbe rimettersi in marcia 

La notte del 23 giugno, a Mosca, era stato attivato il piano Fortezza,  Krepost, che in codice vuol dire predisporre tutte le misure necessarie a proteggere la capitale russa. Il piano è stato attivato, ma nessuno si è mosso. La colonna di combattenti delle Wagner che avanzava verso la più grande città della Russia non poteva saperlo, ma sapeva di avere dalla sua parte membri  dell’esercito e anche dei servizi segreti.  La notte tra il 23 e il 24 giugno, ognuno ha pensato a salvare se stesso, nessuno ha pensato a salvare il Cremlino, se non lo stesso Cremlino. Mentre la Wagner avanzava senza incontrare resistenza, gli ingranaggi della Russia di Vladimir Putin si stavano preoccupando di mettersi al riparo, pronti per ogni cambiamento. Il presidente russo in quelle ore ha constatato quanto potrebbe essere semplice organizzare una ribellione contro il suo potere e ora ha una sola strategia: premiare i fedelissimi, indipendentemente dal loro valore, e punire chiunque potrebbe essere in grado, o soltanto avere l’idea, di seguire le orme di Prigozhin. Oggi è stato arrestato Igor Girkin, detto Strelkov, che vuol dire sparatore, cecchino. E’ un veterano dell’esercito russo, ex ufficiale dell’Fsb,  ed è l’uomo che si vanta di aver fatto partire il primo colpo della guerra nel Donbas nel 2014. Dopo essere stato in Crimea ed essersi occupato dell’annessione della penisola, dopo essersi reso conto che quello strappo al diritto internazionale non era ripetibile in altre aree dell’Ucraina, Girkin si mise a capo delle forze armate dell’inesistente Repubblica popolare di Donetsk. Aveva mercenari al suo seguito, aveva i soldi di un oligarca, aveva l’avallo di Putin, che non durò a lungo. Girkin voleva la guerra totale, non una guerra russa sotto mentite spoglie,  e ritiene ancora oggi che il fallimento della Russia in Ucraina sia dovuto alla mancanza di prontezza e di coraggio di nove anni fa. Girkin parlava e parla molto, e oggi il suo arresto vuole essere un avvertimento a chiunque abbia l’intenzione di  criticare il Cremlino. 

 

In aprile, Girkin aveva fondato il Club dei patrioti arrabbiati: arrabbiati con il Cremlino, con il ministero della Difesa, per gli scarsi risultati della guerra. Come atto fondativo, il club aveva pubblicato un manifesto per dire che Putin sulla guerra stava raccontando  molte bugie ai russi, che Mosca non avrebbe potuto vincere perché non era pronta. Putin avrebbe potuto far arrestare Girkin allora, come avrebbe potuto farlo anche nel 2014, ma non credeva fosse una minaccia e aveva bisogno anche degli esaltati che sapevano ancora stuzzicare la nostalgia per una Russia imperiale. Adesso il pericolo è superiore all’utilità, e il presidente ha deciso di tutelarsi promuovendo chi si distingue in fedeltà senza indicare altri meriti – come il nipote del leader ceceno Ramzan Kadyrov al quale ha regalato la statalizzata filiale russa della Danone – e punendo platealmente chi potrebbe aver interesse a marciare su Mosca. 
Girkin aveva anche previsto il tentato golpe, è stato arrestato per estremismo, e la testata russa Rbk ha scritto che la denuncia contro di lui sarebbe arrivata da un ex combattente della Wagner: anche che il sottobosco di possibili ribelli si sta azzannando va mostrato platealmente. 

 

Al Cremlino sono rimasti  i tentativi di compattare attorno a sé un sistema pieno di spifferi che stanno diventando voragini. Un’inchiesta pubblicata da Insider, e scritta da nomi importanti del giornalismo russo e internazionale, ha raccontato cosa è accaduto la notte tra il 23 e il 24 giugno. Secondo l’inchiesta, sia il Gru sia l’Fsb, l’intelligence militare e i servizi di sicurezza interna, sapevano che Prigozhin stava arrivando e non hanno preso provvedimenti. Alcuni generali russi, per non interferire con l’avanzata, hanno accampato scuse: alcuni hanno detto che avevano i postumi di una sbornia  e necessitavano di riposo e dopo averlo detto sarebbero tornati a bere. L’Fsb invece ha pensato a proteggere il suo quartier generale e quando il piano Fortezza è scattato, ha chiamato l’unità Alpha, un’unità d’élite degli Spetsnaz, a salvaguardia della Lubjanka. 

 

Arrestarli uno per uno, tutti coloro che hanno atteso, tradito, accolto i ribelli, è infattibile, iniziano a essere molti, a riconoscersi. Putin cerca di lavorare sulle divisioni – l’inchiesta di Insider racconta che gli uomini della Wagner erano molto divisi quella notte e non tutti sono contenti della decisione di Prigozhin – ma da quella notte le debolezze di Putin sono sempre più difficili da nascondere. Oggi il presidente russo ha minacciato la Polonia  dicendo che se esiste è grazie alla Russia, che come le ha concesso terre può andare a riprendersele. Non soltanto non avrebbe i mezzi per un intervento contro Varsavia, ma Putin non si rende conto che tra tutte le divisioni in Russia, sta sorgendo un punto di unione: l’opposizione silenziosa che era contraria alla guerra continua a non volerla. Mentre i  falchissimi che volevano uno scontro totale ora sembrano cercare il modo di finirla qui. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)