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Quante chance ha il sogno di Feijóo: fare i conti senza Vox
Spagna al voto. Il leader dei Popolari è il favorito. Tre vie (strette) per evitare l’alleanza con la destra estrema
Fin dal momento esatto in cui il premier spagnolo, il socialista Pedro Sánchez, ha indetto le elezioni politiche anticipate per il 23 luglio, il suo principale avversario, il leader del Partito popolare, Alberto Núñez Feijóo, ha cercato in tutti modi di contrabbandare come fededegno un ritratto molto schematico del panorama politico del suo paese.
Nello suo storytelling, da un lato c’è lui, Alberto Núñez Feijóo, il candidato premier del centrodestra: un leader moderato e assennato, che si misura per la prima volta sulla scena della politica nazionale ma che ha già accumulato un’enorme esperienza governando per tredici anni la Galizia, un futuro premier che avrà un occhio di riguardo per Madrid (dove il Pp è andato fortissimo nelle amministrative), ma che saprà ascoltare anche gli abitanti delle zone rurali più fuorimano, troppo spesso dimenticati dai governi precedenti (Feijóo è nato nella profonda provincia e se ne vanta), un centrista pragmatico che ha in testa un progetto chiaro per una Spagna territorialmente più coesa e che può contare su un grande partito dietro alle spalle.
Dall’altra parte, nel racconto di Feijóo, c’è invece un intero circo equestre guidato da Pedro Sánchez, un personaggio vacuo inchiavardato alla poltrona a qualunque costo che ha contagiato l’intera Spagna con il “sanchismo”, una malattia politica dai sintomi incerti che la destra agita però come fosse il babau. Di questo circo, oltre a un Partito socialista indebolito ma pieno di dirigenti di buonsenso che giocoforza detestano il “sanchismo” e il suo profeta, fanno parte i “comunisti” di Sumar, la piattaforma della sinistra radicale fondata dalla vicepremier Yolanda Díaz (che in effetti è alleata con Sánchez), i “golpisti” catalani di Esquerra republicana de Catalunya, i “terroristi” baschi di EH Bildu e un pulviscolo di partiti locali capitanati dal Partito nazionalista basco e dediti al mercimonio (voti nel Parlamento di Madrid in cambio di prebende per le proprie regioni di riferimento).
Poi, messo alle strette, Feijóo deve ammettere che, così, il quadro non è completo, ma fa il vago: “Ah, sì, poi c’è anche quell’altro partito… Com’è che si chiama? Sì, Vox… Non mi piace molto…”. Per poi aggiungere: “E, comunque, se Vox avrà un qualsiasi potere ricattatorio dopo le elezioni, ciò avverrà per esclusiva colpa dei socialisti, qualora questi ultimi, accecati dal ‘sanchismo’, si rifiutino di permettere al Pp di governare da solo in minoranza senza dover ricorrere al sostegno di Vox”. Questi, naturalmente, non sono dei virgolettati autentici di Feijóo, ma sono una sintesi piuttosto fedele di quello che il leader popolare ha cercato di dare a intendere durante tutta la campagna elettorale.
La realtà politica della Spagna che corre verso le elezioni di domenica, è però diversa da quella che Feijóo sta raccontando. Perché, se la sua descrizione della sponda sinistra, al netto degli aspetti caricaturali, corrisponde in sostanza al vero, lo stesso non può dirsi della sua descrizione della sponda destra. In vista del voto di domenica, infatti, Sánchez può solo sperare di ottenere per un soffio i numeri necessari a riproporre una coalizione tra i socialisti e la sinistra radicale che avrebbe poi bisogno dell’appoggio puntuale di varie forze minori, regionaliste e indipendentiste, per poter contare su una maggioranza. In altre parole, il bersaglio grosso del premier uscente – e i sondaggi, peraltro, ritengono difficile anche questo scenario – è una riedizione di quell’accordo ad assetto variabile con cui ha governato negli ultimi anni e che i commentatori di centrodestra hanno soprannominato, con ironia teratologica, “coalición Frankenstein”.
Dove la narrazione feijoiana fa (molta) acqua è invece nella descrizione del Pp come avversario solitario del “sanchismo” e come grande partito moderato che marcia verso una vittoria elettorale senza insozzarsi le vesti immacolate con la ricerca di alleanze vergognose con “comunisti”, “golpisti”, “terroristi” e consimile marmaglia. Infatti, per quanto Feijóo rimarchi le distanze da Vox, il risultato elettorale del partito sovranista di estrema destra guidato da Santiago Abascal (la sua amiga Giorgia Meloni, in buon spagnolo, lo chiama “Santi”, mentre lui ricambia con un aspiratissimo “Jiorjia”), sarà determinate per capire chi e come governerà la Spagna.
Salvo sorprese clamorose, i popolari, che sono i vincitori annunciati delle elezioni, non otterranno una maggioranza assoluta. E non potranno certo aspirare a un appoggio da parte dei movimenti regionalisti e indipendentisti, se si escludono un paio di partitini che avranno due o tre seggi in tutto e ai quali va però aggiunto, almeno in via ipotetica e per quanto possa sembrare incredibile, il Partito nazionalista basco che, in qualità di più antico partito democristiano del mondo, è capace di qualsiasi contorsione in nome del pragmatismo.
Sia come sia, è pressoché certo che, anche in caso di prevedibile vittoria, il Pp dovrà rivolgersi a Vox. E questo, con buona pace di Feijóo che lo ha negato in ogni modo, istituisce una simmetria tra la coalizione, volontaria ed esplicita, formata dai socialisti e da Sumar, e quella implicita tra i popolari e Vox, una “coalizione” che si è andata formando un po’ “loro malgrado” ma che sarà, probabilmente, inevitabile. E c’è simmetria anche per quel che riguarda l’impresentabilità: a sinistra, infatti, i sovranisti di Vox non vengono certo visti con un disprezzo e un timore inferiori di quelli con cui da destra si guardano i compagni di viaggio con cui Sánchez ha dato vita alla coalición Frankenstein e con l’aiuto dei quali punta a rimettere in cartellone, anche nella prossima legislatura, quello stesso spettacolo così sgradito ai conservatori.
Per tutta la campagna elettorale sia i socialisti sia i popolari si sono rinfacciati in modo sanguinario le rispettive alleanze, dichiarate o sottaciute. Nel loro unico e ruvido faccia a faccia televisivo, Sánchez e Feijóo hanno fatto continuo riferimento ai partner in crime dell’avversario. Sánchez ha chiesto al leader del Pp se condivideva questa o quella idea estremista di Vox. E Feijóo ha parlato così tanto degli “amici” del governo socialista che il leader degli indipendentisti baschi, Arnaldo Otegi, ha commentato soddisfatto: “I vincitori del faccia a faccia tra Sánchez e Feijóo siamo stati noi di EH Bildu e i catalani di Esquerra repubblicana: anche se non ci avevano invitato al dibattito, siamo stati presenti tutto il tempo”.
Il tentativo di Feijóo di scardinare l’idea che alla coalizione di sinistra si contrapponga un inevitabile accordo tra il suo Pp e i sovranisti è stato così pervicace che mercoledì non ha voluto partecipare al dibattito tv tra i quattro principali candidati premier. Ma, secondo gli analisti dei flussi elettorali, l’assenza di Feijóo dal dibattito triangolare tra Sánchez, Díaz e Abascal non è stata una mossa azzeccata.
Certo – e proprio questo è il vero, grande sogno di Feijóo – i popolari possono sperare di strappare un numero di seggi così prossimo alla maggioranza assoluta e così superiore a quello degli avversari da poter “forzare la mano” e ottenere quindi che Vox (o i socialisti) si astengano al momento dell’investitura. In Spagna la consuetudine di concedere l’astensione permettendo così al vincitore delle elezioni di varare un governo (locale o nazionale) di minoranza aveva una solida una tradizione. Ma poi sia i socialisti sia gli stessi popolari hanno calpestato questa consuetudine fino a farla scomparire.
Tra l’altro, proprio in queste ultime settimane, nelle regioni in cui si è votato nelle amministrative dello scorso maggio, si è visto come, laddove il Pp non abbia una maggioranza assoluta, Vox pretenda, ponendo aut aut non aggirabili, di entrare nel governo. E, se concede un appoggio esterno, lo fa solo dopo avere ottenuto la garanzia di poter condizionare le politiche del governo. Non bastasse, gli esponenti di Vox che hanno ottenuto delle cariche importanti a livello locale, invece di istituzionalizzarsi, si esibiscono poi in pose ancora più estremiste, imbarazzando i popolari.
Per Feijóo ogni eventuale trattativa con Vox si annuncia come piuttosto difficile. Ma, in caso di un robusto per quanto insufficiente successo nelle urne dei popolari, come extrema ratio potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di seguire la strada già percorsa qualche mese dal premier greco, Kyriakos Mitsotakis, e anche dallo stesso Sánchez nel 2019: tornare al voto per provare a rifilare verso l’alto il proprio numero di seggi. E vedere che cosa succede.