il foglio del weekend
Gli irredimibili baschi: l'indipendentismo al centro del dibattito pubblico spagnolo
Sulla campagna elettorale di Sánchez pesano gli accordi con Bildu, il partito che raccoglie la sanguinosa eredità dell'organizzazione terroristica Eta
Uno spettro si aggira per la Spagna. Mai come in quest’anno di scadenze elettorali è tempo di fare i conti col passato, con l’età del terrorismo. Che qui significa soprattutto Eta. Acronimo di Euskadi ta Askatasuna, tradotto in italiano: “Paesi Baschi e libertà”. E con la sua eredità politica, ideologica, perfino culturale. Una storia lunga e frastagliata anche nelle denominazioni che oggi si incarna in Euskal Herria Bildu, cioè “Paesi Baschi Uniti”, una coalizione di partiti indipendentisti di solito definita soltanto Bildu o anche EH Bildu. Il Tribunale costituzionale ha legalizzato la coalizione nel 2011. Con una maggioranza risicata, sei voti contro cinque. Ma Bildu è parecchio radicato nei Paesi Baschi e nella vicina Navarra dove riscuote, eccome, consenso. Nelle elezioni amministrative dello scorso 28 maggio è stato lo schieramento più votato, a spese del Partido Nacionalista Vasco, finora egemone da quelle parti. Attraverso Bildu, dunque, il fantasma dell’Eta è tornato protagonista del discorso pubblico in Spagna. Delle controversie elettorali e non solo. Una polemica infinita che attraversa il dolore delle vittime e delle famiglie.
E’ feroce il bilancio di quanto avvenne tra il 1958, quando l’Eta nacque, e il 2011, quando annunciò il “definitivo” addio alle armi: 3.500 attentati, 853 morti ammazzati, 2.632 ferimenti, 86 sequestri e un numero imprecisato di danni economici, minacce ed estorsioni. Quest’ultime non a caso chiamate impuestos revolucionarios. “Tasse” necessarie a finanziare la lotta, così simili al “pizzo” preteso dalla mafia. Senza contare l’emigrazione forzata da Euskadi, il nome basco del territorio, di tutti coloro con opinioni, frequentazioni, stili di vita non “patriotticamente” corretti secondo i dettami dell’Eta. Non è facile vivere con la pistola puntata. Né contrastare il silenzio, talvolta l’omertà.
Solo nel 2018 l’Eta decise il proprio autoscioglimento. L’ultimo bollettino diramato quell’anno parla chiaro. L’Eta, l’organizzazione più longeva d’Europa tra le molte che hanno teorizzato l’uso della violenza per attuare il proprio fine politico, ammetteva di “non avere raggiunto gli obiettivi prefissati”. In primo luogo l’indipendenza del paese e della gente basca che vive nel nord della Spagna e anche oltreconfine. Nella Francia che permise per molti anni agli etarras, i militanti dell’Eta, di trovare rifugio dall’altro lato dei Pirenei. Il santuario, lo chiamavano in Spagna, con riferimento alla scarsa collaborazione delle autorità francesi nella lotta al terrorismo.
Ma se l’Eta è morta e Bildu è legale da più di dieci anni, perché ci si agita tanto per le elezioni 2023?
Il fatto è che Bildu per il governo del socialista Pedro Sánchez è stato molto più che una stampella di legislatura. Sánchez ammette di aver avuto con i baschi “accordi specifici su leggi concrete”, ma nega che ci sia mai stato un pacto a escondidas, un accordo sottobanco. Su YouTube, però, c’è una collezione di video con il leader socialista all’insegna del “mai con Bildu”, alcuni dei quali risalenti a più di un lustro fa.
Un altro fatto è che senza il voto degli indipendentisti baschi Sánchez si sarebbe scordato l’approvazione di finanziarie e di leggi fondamentali per il suo governo ma assai divisive per il paese. Per esempio, la Ley Trans dello scorso febbraio che riconosce il diritto di cambiare sesso all’anagrafe a partire dai sedici anni, talvolta anche dai dodici, senza attestazioni mediche e senza il consenso dei genitori, ma con l’aiuto dello stato. O la Ley de Memoria Democrática dell’ottobre 2022 che riapre le ferite della Guerra civile e della repressione franchista in un paese in cui – dopo la morte del Caudillo vinto dalla vecchiaia nel 1975 – ha prevalso la volontà comune di dimenticare quarant’anni di dittatura per concentrarsi sul futuro della monarchia costituzionale.
“E’ una vergogna”, scandisce Carmen Ladrón de Guevara, legale della Asociación de las Víctimas del Terrorismo, fondata nel 1981, la prima organizzazione in Spagna e in Europa a occuparsi di vittime del terrorismo con 4.800 associati tra sopravvissuti e superstiti. Dal suo studio luminoso che si affaccia sui tetti di Chamberí, fascinoso quartiere borghese di Madrid, doña Carmen non le manda a dire: “Il problema non è che Bildu presenti liste elettorali con pregiudicati. Gli indipendentisti baschi lo hanno sempre fatto. La notizia è che è socio del governo. Anzi, tra i soci preferentes del governo. Questo è lo scandalo”.
La Abogada Ladrón de Guevara spiega che comunque la Spagna ha una legislazione d’avanguardia rispetto all’Europa a salvaguardia delle vittime del terrorismo. Ma si è cominciato a legiferare solo a partire dal 2009. E racconta che quando lei era studentessa di Giurisprudenza a Madrid, un professore la mandò ad assistere a un processo che riguardava l’Eta. “I familiari superstiti erano soli in tribunale. Circondati da etarras. Fu allora che decisi che sarei diventata avvocato. Dalla parte delle vittime”.
Lo scandalo di cui parla Ladrón de Guevara è scoppiato a maggio, poco prima del voto per il rinnovo di più di ottomila municipalità, compresa la capitale e le altre grandi città, e di dodici comunidades autónomas sulle diciassette in cui è suddivisa la Spagna. Lo spettro dell’Eta ha assunto le sembianze di 44 uomini e donne aderenti a Bildu, inseriti qui e là nelle liste dei municipi del País Vasco e della Navarra. Quarantaquattro candidati condannati dai tribunali spagnoli per reati legati alla violenza politica, di cui sette per delitti di sangue. Due addirittura candidati negli stessi luoghi in cui avevano fatto vittime. Quindici sono risultati eletti.
Tutto legale, per carità. Ma la mossa di Bildu non è piaciuta al Covite, Colectivo de Víctimas del Terrorismo, che l’ha segnalata all’opinione pubblica dando fuoco alle polveri. Così la polemica ha finito per essere parte integrante anche della campagna elettorale in corso per le politiche del 23 luglio, quest’ultime convocate dal premier Sánchez nell’immediato della batosta elettorale subita a maggio.
Accuse incrociate e propaganda, va da sé. Un gioco d’artificio quotidiano. Il Partido Popular lancia spot rassicuranti intitolati Verano azul, come un’iconica serie televisiva degli anni Ottanta, in cui uno degli attori del tempo invita ad andare a votare in pieno luglio, durante un fine settimana di ponti e festività, perché “la Spagna merita un’estate azzurra”. E Bildu mette in rete un corto, sempre in stile vacanziero, per pubblicizzare una confezione di protección antifascista. Il titolo in basco è Udaz gozatu, cioè “Goditi l’estate”. Con un avvertimento: “Quest’estate non sarà come le precedenti”. Infatti l’immagine in apertura di una spiaggia da sogno sparisce subito ingoiata da fuoco e fiamme, mentre la voce fuori campo annuncia che “un’ondata di caldo proveniente dal sud e l’estrema destra vogliono rovinarci le vacanze”.
Come si fa a non pensare alle campagne d’estate contra el turismo internacional che funestarono la Spagna, alberghi, ristoranti, porti, aeroporti, ferrovie, stazioni di autobus, spiagge, discoteche e quant’altro di interesse turistico a partire dal 1979? Proprio durante la Transizione postfranchista, nell’epoca della democrazia più fragile, quando si perseguiva lo spirito de la Concordia anche attraverso l’amnistia del 1977, che svuotò le carceri spagnole di prigionieri politici, o il referendum per lo Statuto di Guernica del ‘79 che sancì l’autonomia basca. Proprio allora iniziarono gli anni di piombo. Si calcola che il 95 per cento delle azioni “militari” compiute dall’Eta avvennero dopo la morte di Franco.
Nel video realizzato da Bildu la stessa voce che pone il problema, propone la soluzione: un dispenser di marca EH Bildu offre protezione, come fosse crema solare, anche nei confronti di chi si mette Cara al sol, con preciso riferimento al titolo dell’inno franchista. La crema sembra essere efficace anche contro gli insetti più molesti e inutili: mosquitos, citati mentre passa l’immagine di Feijóo, presidente del Partido Popular che ha vinto le amministrative; zánganos, i maschi dell’ape regina, con allusione a Santiago Abascal, presidente di Vox, il partito più a destra del Congreso. E infine, sempre nel campo dell’entomologia, moscas cojoneras mentre si vede Aitor Esteban, portavoce del Pnv, il più antico partito basco, che è autonomista, ma non indipendentista.
E’ il caso di ricordare che il segretario di Bildu è Arnaldo Otegi, un basco di 65 anni capace di polarizzare la politica e dividere la società. Nel suo curriculum ci sono dieci anni sugli altari, dal 1995 al 2005, come parlamentare eletto prima con Herri Batasuna e, poi, con Euskal Herritarrok, due partiti baschi dichiarati entrambi illegali nel 2003 per essere stati giudicati il braccio politico del terrorismo dell’Eta. Ma anche altrettante volte nella polvere. Militante dell’Eta da ragazzo, Otegi ha trascorso anni nelle carceri spagnole per reati connessi all’appartenenza a banda armata, a rapimenti, a rapine. Figura controversa, c’è chi lo ritiene un protagonista del processo che ha portato alla dissoluzione dell’Eta, una sorta di Gerry Adams dell’Irlanda del Nord, e chi gli rinfaccia le condanne e le responsabilità accertate degli anni di piombo.
Così l’Eta è tornata a popolare gli incubi degli spagnoli. O anche i sogni, dipende dal punto di vista. Si calcola che più del 15 per cento dei baschi si dichiari indipendentista e più del 50 per cento nazionalista.
A Madrid, città simbolo del centralismo spagnolo, sulla questione basca prevale una visione alla Goya. Come dire, el sueño de la razón produce monstruos. E produce entropia non solo elettorale. Si dibatte tra il successo della democrazia che permette agli eredi di una banda armata di sedere in parlamento e la consapevolezza che l’Eta ha sempre interpretato il ruolo di vittima nel gioco delle parti, senza mai chiedere scusa a coloro che hanno dovuto subire la violenza della sua azione o vivere nella paura. Qui tutti ricordano. E siccome la memoria è “materia”, per dirla col filosofo Henri Bergson, il dolore delle vittime dell’Eta è materia viva. E’ carne e sangue.
Il tema è così presente nelle coscienze degli spagnoli e al tempo stesso così mediatico, ogni giorno sui giornali, che finisce per far parte delle conversazioni, anche occasionali. Nacho Casares, colto libraio de la Fundación La Fábrica di Madrid, racconta di essere stato testimone inconsapevole a 11 anni di un’operazione terroristica avvenuta mentre andava a scuola. Nel Barrio de Salamanca, quartiere emblema della Madrid più benestante, sono molti gli anziani che sostengono di aver assistito all’attentato contro l’ammiraglio Carrero Blanco, il delfino designato dal Generalísimo Franco. Era il 20 dicembre del 1973. L’atto terroristico dell’Eta più noto anche all’estero cambiò la storia della Spagna. E anche la narrazione della storia della Spagna.
Il regista italiano Gillo Pontecorvo ci fece un film: Operación Ogro, tanto documentato che ancora oggi capita che si usino nei giornali e nel web le immagini cinematografiche come fossero documentazione reale. In particolare quella dell’auto in fiamme che vola a oltre trenta metri di altezza sul tetto di un palazzo in calle Claudio Coello. Pontecorvo accreditò una visione romantica dell’ultranazionalismo basco. In Italia e non solo. Soprattutto accreditò lo stereotipo diffuso e duraturo della funzione antifranchista dell’Eta che, invece, era frutto delle circostanze.
Di antifranquismo circustancial parla lo storico basco Gaizka Fernández Soldevilla, responsabile della ricerca scientifica del Centro Memorial Víctimas del Terrorismo di Vitoria (oggi Vitoria-Gasteiz, perché è obbligatorio aggiungere il nome in basco), che è capoluogo de facto della regione. “All’Eta non è mai importata la forma di governo della Spagna, che considerava una nazione nemica e colonizzatrice. L’Eta ha dichiarato che avrebbe lottato anche contro la Terza repubblica, se ci fosse stata la repubblica al posto della monarchia”, sottolinea Gaizka, massimo esperto in materia, autore di una mezza dozzina di opere che analizzano il terrorismo basco pure nelle contraddizioni e nei luoghi comuni. Assieme a Matteo Re, che è italiano e insegna Análisis y prevención del terrorismo alla Universidad Rey Juan Carlos di Madrid, ha pubblicato mesi fa con Rubbettino la Storia del terrorismo in Spagna. Dall’Eta al jihadismo.
Il saggio è stato presentato all’Università di Palermo come apripista di un ciclo di Incontri di storia sulla Spagna attuale tuttora in corso. Ciclo coordinato dallo storico Carlo Verri in collaborazione con l’Instituto Cervantes di Palermo diretto da Juan Carlos Reche Cala.
Il libro si inserisce nell’attuale batalla del relato, nel senso della narrazione. Come si racconta un conflitto? Come si spiegano gli anni di piombo a chi non ha vissuto la stagione degli attentati? L’opera ha il pregio di inquadrare il terrorismo basco in una visione internazionale e, tra l’altro, anche di spiegare quanto avvenne alla stazione ferroviaria di Atocha a Madrid l’11 marzo 2004 nell’attentato “più letale della storia della Spagna in cui morirono 192 persone e 1.841 risultarono ferite”.
Matteo Re ricorda perfettamente quella mattina di marzo, le telefonate dall’Italia cariche di preoccupazione. Col senno dello storico, seduto in un caffè di calle Serrano, oggi parla delle “conseguenze politiche enormi di quell’attentato jihadista, erroneamente attribuito all’Eta”. Di certo segnò un punto di svolta nella lotta ai terrorismi. La Spagna era alla vigilia delle elezioni generali. Mentre il governo di Aznar (Partido Popular) continuava a insistere sulla matrice basca, Arnaldo Otegi, allora dirigente politico di Batasuna, non solo negò qualsiasi coinvolgimento dell’Eta, ma fu il primo a chiamare in causa al-Qaida. Certo, doveva sapere il fatto suo.
La fine è nota. Le frontiere della Spagna non sono cambiate, né sotto la dittatura né in democrazia, nonostante decenni di violenza. Quel che resta dell’Eta ha radici profonde come l’albero di Guernica, la quercia simbolo dell’autonomia basca, sotto la quale giurò già nel 1476 il Re cattolico Fernando d’Aragona. Ha radici “tra i baschi di pietra blindata”, per dirla con Miguel Hernández, il poeta autodidatta che morì di tubercolosi nelle carceri franchiste nel 1941 a soli trentun anni.
I suoi versi accolgono i viaggiatori all’aeroporto di Madrid: España no se abarca con la mano. Sono tratti da una lirica che lui, pastore del sud, dedicò a Euskadi. “La Spagna non si cinge con la mano che scaglia manciate di crudeltà”.