La rivolta che in Francia ignora la cultura radicale dopo più di due secoli
Segnali nefasti per tutta Europa. L’anticultura e l’asocialità che si sta formando sotto la superficie sociale è ancora materia oscura per sociologi e politici. Cos'è cambiato negli scontri d'oltralpe
C’è poco da scherzare. L’anno scorso si parlava di clima da guerra civile negli Stati Uniti per ragioni sociali e politiche. Ora si parla di guerra civile in Francia. Cause, modalità e soggetti non hanno niente a che fare tra loro. Ma il fenomeno è inquietante, perché Stati Uniti e Francia sono nazioni protagoniste storiche nell’avvento delle liberaldemocrazie. Sono due punti di riferimento, se non proprio due modelli. La Francia, paese la cui identità culturale ha patito duri colpi dalla globalizzazione, è in Europa la Repubblica laica accentrata e razionale per eccellenza. Ha perso la sua longeva egemonia culturale, a lungo andare estenuata da troppe mode intellettuali (Deleuze, Foucault, Derrida e dintorni: “un marxismo rococò” secondo Tom Wolfe). Questo ha provocato nell’intellettualità parigina umori neri e qualche isterismo anglofobo.
Fino a poco fa la Francia, tra gilet gialli e rifiuto della riforma delle pensioni, ha continuato a dare spettacolo con le sue assurde e maniacali gestualità distruttive (non si sa perché spaccare vetrine e incendiare auto parcheggiate, che non hanno nessun colpevole rapporto con le ragioni delle proteste). Ma ora, con il più recente caso Nanterre, le cose sono cambiate. Ho letto diversi articoli in proposito (quello di Marco Cicala sull’ultimo Venerdì mi sembra il migliore). Mentre negli Stati Uniti basta fare un nome, quello di Donald Trump, per capire molto, se non tutto (il capitalista selvaggio che piace ai troppi scontenti e pazzoidi che in America non mancano mai), in Francia sono gli adolescenti delle nuove periferie a essere la materia e l’energia oscura che viene in primo piano. Trump è un personaggio da caotico western in cui conta solo il potere economico e la sfacciata protervia di chi ne dispone. Ma la Francia, la Francia, a due passi da noi! La patria della Liberté e del suo mito, della Marsigliese, dello stato che tutto vede e illumina con il suo razionalismo amministrativo! I francesi sono o sembrano tutti degli intellettuali: e in quanto tali hanno due facce. Da un lato scrivono e leggono libri che funzionano come perfette macchine deduttive fondate su una sola idea, dall’altro adorano la libertà contro ogni regola e “vivre sans regles” lo portano scritto i loro turisti sulla maglietta persino in Italia, dove nessuno sa che cos’è una regola.
Tutto questo è sempre stato parte essenziale della cultura francese, che ha inventato sia l’illuminismo enciclopedico che il surrealismo, sia lo strutturalismo (“tout se tient!”) che il decostruzionismo (ogni struttura è da smontare). Queste acrobazie le hanno esportate per decenni nel mondo, creando confusione nelle teste filosofeggianti di molti intellettuali, da são Paulo a Istanbul e Tokyo. Così si è diffusa dovunque, anche in paesi caotici come il nostro, l’idea che la vera libertà è infrangere ogni regola, fare a botte con i poliziotti e sfidare lo stato.
Ma questa è cultura, e cultura coltivata nelle università prima di arrivare ai centri sociali. Con gli ultimi giorni di rivolta in Francia mi pare però che la cultura non c’entri, sia del tutto e per la prima volta completamente assente. Nessun luogo comune d’avanguardia e niente di tipicamente francese. Ora c’è l’odio per la Francia a erompere dalle periferie.
Da dove viene, come è nato? C’è poco da illudersi. L’integrazione, l’assimilazione degli emigrati, la società multiculturale e multietnica non si realizzano facilmente neppure fra i più giovani. La vera novità delle ultime violentissime rivolte ha un carattere puramente distruttivo, che per la prima volta non nasce dalla stessa Francia e dalla sua cultura sofisticatamente contraddittoria e bifronte: è anzi un odio per la Francia che ignora o detesta le sue tradizioni rivoluzionarie e ribelli, di cui si sono così a lungo nutriti intellettuali, scrittori e artisti.
La rivolta attuale nata a Nanterre dopo l’uccisione da parte della polizia del giovane islamico è il contrario della Nanterre universitaria del Sessantotto. E’ la prima rivolta in Francia che dopo più di due secoli ignora la cultura radicale e si alimenta solo di social. La società francese le cui caratteristiche sono note, fatta di regole, consuetudini, miti e idee, risulta lacerata forse per sempre. Un fatto come questo è un segnale per tutta l’Europa. In altri paesi europei niente del genere è ancora avvenuto. E’ stata la rigidità dell’ideologia francese a essere colpita e compromessa. I social mescolati all’appartenenza islamica hanno ora liberato il loro potenziale distruttivo, la loro estraneità alla République. Per questo lo stato è risultato finora incapace di rispondere. A coloro che rivelano, esibiscono il fallimento della socializzazione, il paese della ragione e dello stato non sa in che lingua parlare.
Disagio economico e civico, bande in lotta, bullismo, manie giovanili, droghe e asocialità coltivata via social non sono tutto. Credo che l’origine e l’identità islamica abbiano dato un contributo essenziale all’odio antifrancese. Non va dimenticato che, anche a causa del suo colonialismo, è la Francia, dopo gli Stati Uniti, il paese occidentale più odiato fra gli islamici. Non parlo di religiosità islamica, né di fanatismo islamista, che in anni recenti si sono manifestati in ben altre forme, assolutamente esplicite e belliche. Ormai è probabile che fra i più giovani l’Islam non sia più, propriamente, una religione, quanto piuttosto l’oscuro e magari tacito presupposto di ogni senso di estraneità, alterità e ostilità alla Francia. Niente di culturalmente elaborato, ma un additivo alla rabbia contro tutto e tutti intorno a sé. Gli inglesi, i tedeschi, gli spagnoli, i portoghesi non sono odiati così dai figli degli immigrati.
La sinistra radicale, in Francia, sa troppo di Francia per piacere a questo tipo di rivoltosi. Nelle origini e negli scopi (ammesso che ne abbiano) questi giovani non hanno niente a che vedere né con la sinistra di Mélenchon né con la destra di Marine Le Pen, due mediocrissime versioni degli opposti schieramenti. Il trauma subito ora dalla società francese potrà avere sull’elettorato effetti sia di destra che di sinistra. Dall’una e dall’altra parte, queste manifestazioni hanno potuto prendere, indifferentemente, le provocazioni, i linguaggi, i metodi più estremi: ma senza riferimenti politici.
Non sapevamo ancora bene cosa potesse essere il popolo giovanile dei social media se scende in piazza in caso di mobilitazione di massa. L’anticultura e l’asocialità che si sta formando sotto la superficie sociale è ancora materia oscura per sociologi e politici. E’ intrattabile e non comunica.