i doni del Cremlino

Il vertice e il controvertice di Putin e Prigozhin con l'Africa

Micol Flammini

Il presidente russo riceve i leader africani, offre grano gratis e conta le defezioni. Dal tavolone del 2019 è passato al tavolino, ma poco distante dal suo palazzo c'è il capo della Wagner che parla del colpo di stato in Niger e si fa fotografare. La strategia militare e il ricatto della fame

Dal tavolone, Vladimir Putin è passato al tavolino per radunare a San Pietroburgo i capi di stato e di governo dei paesi africani. Se si confrontano le foto del summit Russia-Africa del 2019 con quelle del summit cominciato oggi, si notano le defezioni e  il restringimento del tavolo rotondo attorno al quale si sono seduti i leader del continente su cui Putin sta puntando da anni e che vuole allontanare dall’occidente. 

 

E per creare e rafforzare la presenza russa in Africa, Putin ha contato sempre  sull’aiuto di Evgeni Prigozhin, il “traditore” che a fine giugno ha organizzato la marcia “della giustizia” della compagnia Wagner arrivando quasi alle porte di Mosca. A sorpresa, Prigozhin oggi era proprio a San Pietroburgo, dove ha accolto alcuni leader africani all’hotel  Dvorets Trezzini (Trezzini Palace Hotel), in centro, e aveva molta voglia di far notare la sua presenza. In una foto che lo ritrae senza mimetica – polo bianca, jeans, occhiali appesi al collo – stringe la mano a un diplomatico della Repubblica centrafricana e a diffondere l’immagine è stato Dmitry Syty, anche lui della Wagner, con un messaggio: “L’ambasciatore ha condiviso con me le prime foto del vertice Russia-Africa. Vediamo volti familiari”. Poi Prigozhin avrebbe incontrato anche diplomatici del Mali e del Niger: proprio nelle ore in cui comparivano le prime bandiere russe nella capitale Niamey, il capo della Wagner ha definito il colpo di stato contro il presidente Bazoum una “battaglia contro i colonizzatori”. Prigozhin si è fatto anche fotografare davanti a un’enorme cartina geografica dell’Africa in compagnia del  capo dell’emittente filorussa Afrique Media. Putin al Palazzo Konstantinovsky ha svolto il suo vertice, Prigozhin al Trezzini Palace Hotel il suo controvertice. Quanto fossero consapevoli delle manovre che si svolgevano a venti chilometri di distanza l’uno dall’altro non si sa, ma Prigozhin sembra muoversi con sufficiente libertà per la sua città e anche per gli affari del Cremlino. 

 

Tra entusiasti, grati, scettici e tifosi – come chi si è presentato  con il volto del presidente russo impresso sulla maglia – Putin ha cercato accordi e appoggi. Ha voluto incontrare tutti separatamente, ha atteso il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, ha stretto mani, ha detto di avere un piano per costruire un nuovo mondo multipolare, ha ringraziato per la presenza e la pazienza e soprattutto ha promesso grano gratis a sei paesi africani: “Nei prossimi mesi saremo in grado di garantire forniture gratuite da 25.000 a 50.000 tonnellate di grano a Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica centrafricana ed Eritrea”. La Russia è un paese che esporta grano e alla sua capacità produttiva adesso aggiunge quella dei territori ucraini che ha occupato, ma con il Mar Nero che è tornato inaccessibile comunque avrà difficoltà a trasportare i cereali. Quando Putin ha deciso di non estendere gli accordi sul grano, lo ha fatto sostenendo che l’iniziativa siglata separatamente da Kyiv e da Mosca aiutava l’Ucraina e riforniva di cereali i paesi ricchi. Invece sono gli stati africani i più colpiti non soltanto dalla mancanza di grano, ma anche dall’aumento dei prezzi causato dal blocco del Mar Nero. Alcuni leader  hanno boicottato il summit proprio per la decisione di porre fine all’accordo, altri hanno deciso di partecipare ugualmente ma inviando diplomatici, viceministri e non capi di stato. Putin sta cercando di costruire una nuova alleanza attraverso il grano, promettendo tonnellate in dono. Alla forza militare della Wagner, che in Africa già presidia gli affari russi, ora sta unendo il ricatto alimentare e questo è uno dei motivi per cui non può fare a meno del “traditore” Prigozhin. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, è stato chiaro: “Non sarà una manciata” di grano gratis a risolvere gli effetti disastrosi della fine dell’accordo. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)