Foto Ansa 

l'editoriale del direttore

Il trasformismo di Meloni è un fatto. Spiegarlo agli opinionisti del New York Times

Claudio Cerasa

Il comunicato scritto da Biden e dalla premier italiana è un clamoroso manifesto di anti trumpismo. Le geometrie variabili della politica estera meloniana

Va da Biden e fa l’anti Trump. Va da Macron e fa l’anti Le Pen. Va a Bruxelles e fa l’anti Orbán. Va con Scholz e fa l’anti AfD. Va a Tunisi e fa l’anti Salvini. Nelle geometrie variabili della politica estera meloniana, vi è un tratto interessante da seguire, fedelmente mantenuto anche durante la visita alla Casa Bianca. Il tratto è presto spiegato ed è ormai autoevidente: più il nostro presidente del Consiglio è costretto a fare i conti, nel mondo, con i problemi complessi e più la sua traiettoria andrà inevitabilmente ad allontanarsi da quella dei suoi amici di un tempo. Il memorandum firmato a Tunisi (17 luglio) ha avvicinato il premier italiano alla leader europea che i suoi colleghi sovranisti sognano di abbattere (Ursula von der Leyen). L’incontro con il cancelliere tedesco Olaf Scholz (8 giugno) ha archiviato anni di inutili polemiche sovraniste sull’Italia “colonia” della Germania (“i nostri interessi nazionali possono essere convergenti anche sul piano strategico”, ha detto Meloni in quell’occasione) e ha infilato un paio di dita negli occhi dell’AfD (i nazionalisti tedeschi sognano un’Europa meno solidale, meno integrata, meno generosa sul debito pubblico, Meloni e Scholz si sono detti allineati, seppure con sfumature diverse, sulla necessità di riformare in modo non troppo rigorista il Patto di stabilità).

L’incontro all’Eliseo con Emmanuel Macron (20 giugno) ha smentito nei fatti anni di retorica lepenista della stessa Meloni (un tempo, per Meloni, Macron era un “irresponsabile”, un “cinico”, alla guida di un paese “vomitevole che sfrutta l’Africa stampando moneta per quattordici nazioni africane sulle quali applica il signoraggio”, oggi la Francia di Macron è un’alleata imprescindibile per “la difesa dell’interesse nazionale dei propri paesi e della sovranità strategica dell’Europa”, per la creazione di una solida “difesa europea”, per la ricerca di una comune “riforma del governo dell’Eurozona”). E lo stesso in fondo è accaduto nel corso del viaggio di Meloni negli Stati Uniti. La premier italiana ha rivendicato giustamente la sua vicinanza al Partito repubblicano. Ma nei fatti ha confermato un’impressione già offerta in questi mesi: il tentativo, più o meno esplicito, più o meno consapevole, più o meno deliberato, di allontanarsi con i fatti dall’agenda del prossimo probabile candidato repubblicano alla Casa Bianca. Ovvero: Donald Trump. E il tema vive non tanto negli abbracci, nelle carezze, negli sguardi con Biden. Vive in un contesto diverso. Più concreto.

Vive all’interno del comunicato congiunto diffuso la sera del 27 luglio dal presidente americano e dal capo del governo italiano. In tre passaggi in particolare. Il primo passaggio, neanche a dirlo, è quello che riguarda l’Ucraina. Trump, da mesi, sostiene che l’America stia sbagliando a dare tutto il sostegno che sta offrendo a Kyiv (“Joe Biden non dovrebbe trascinarci ulteriormente verso la terza guerra mondiale inviando munizioni a grappolo in Ucraina”, ha detto l’ex presidente americano l’11 luglio). Biden e Meloni, invece, hanno detto l’opposto. E hanno ribadito quanto segue: “Gli Stati Uniti e l’Italia continueranno a fornire assistenza politica, militare, finanziaria e umanitaria all’Ucraina per tutto il tempo necessario, con l’obiettivo di raggiungere una pace giusta e duratura che rispetti pienamente la Carta delle Nazioni Unite e la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”.

 

Stesso discorso sull’ambiente. Trump, come ricorderete, nel 2017 annunciò clamorosamente che gli Stati Uniti non avrebbero mantenuto gli impegni previsti nell’Accordo di Parigi, un importante trattato il cui obiettivo è quello di contrastare il riscaldamento globale riducendo sensibilmente le emissioni di anidride carbonica. E la stessa destra sovranista viene spesso accusata di essere insensibile sui temi climatici. Ebbene, il comunicato di Biden e Meloni sentite cosa dice: “Sia il presidente Biden sia il primo ministro Meloni affermano la minaccia esistenziale rappresentata dal cambiamento climatico e il loro impegno a intraprendere azioni decisive in questo decennio per mantenere l’obiettivo comune di limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi Celsius”. E ancora: “Entrambi ricordano il prezioso contributo della Net-Zero Government Initiative, lanciata dagli Stati Uniti e a cui ha aderito l’Italia, invitando i governi a dare l’esempio e a raggiungere zero emissioni nette da operazioni dei governi nazionali entro e non oltre il 2050”. E infine: “I due paesi intendono proseguire la cooperazione rafforzata e l’allineamento su soluzioni tempestive per il raggiungimento di obiettivi climatici condivisi e un risultato ambizioso della Cop28, con l’obiettivo di garantire condizioni sociali, sostenibilità economica e ambientale”. Più agenda Timmermans che agenda Trump. L’ultima chicca, la terza, è quella che riguarda il così detto “climate finance”. Biden e Meloni affermano di volersi impegnare “a portare avanti i lavori per fare evolvere le banche multilaterali di sviluppo per renderle più reattive alle sfide globali condivise come i cambiamenti climatici, le pandemie, i conflitti”. E il riferimento esplicito è alla necessità di portare avanti riforme finanziarie per promuovere la finanza climatica attraverso un insieme di criteri (i famosi “Esg”: Environmental, Social and Governance) finalizzati a fare l’opposto di quanto sostiene l’agenda anti ambientalista trumpiana: promuovere gli investimenti in progetti sostenibili, utili a premiare le aziende più all’avanguardia nel sostegno dell’ambiente. La politica estera, come abbiamo detto, ha permesso a Meloni di coltivare un suo profilo trasversale. I rapporti con i leader internazionali, invece, hanno permesso a Meloni di allontanarsi dagli impresentabili amici sovranisti. Ciò che sta accadendo in Italia fa paura, ha scritto sul New York Times con un po’ di sciatteria lo storico David Broder (di cui parliamo oggi a pagina tre). Broder lo ha scritto in senso negativo, ovviamente. Ma se si cambia prospettiva e si guarda quel che sta accadendo con Meloni, con i suoi vecchi amici sovranisti, con le sue vecchie idee, con i suoi vecchi tic, difficile dargli torto. Quel che sta accadendo in Italia in effetti fa impressione. Ma per  le ragioni opposte rispetto a quelle sostenute da Broder. Pragmatismo e trasformismo. Per rinnegare il passato non si può che partire da qui.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.