Sahel irrinunciabile

“Viva Putin” non è lo slogan che riassume il Niger. I precedenti pericolosi e un sussulto africano

Cecilia Sala

I vicini del Niger che non vogliono lasciare impunito un altro golpe e un presidente agli arresti che è anche l'ultimo non ostile all'occidente in una regione irrinunciabile

“Viva Putin” non è lo slogan con cui si può riassumere la società civile nigerina nei giorni di un colpo di stato militare dall’esito non ancora del tutto scontato. Durante il fine settimana le manifestazioni partecipate non sono state soltanto quelle contro la Francia in cui si sventolavano bandiere russe, ma anche quelle contro il golpe e a favore del presidente democraticamente eletto, Mohamed Bazoum, che è stato arrestato ma si rifiuta di dimettersi. Il sentimento anti francese nel paese esiste ed è cavalcato anche da influencer filorussi e movimenti come l’M26, ma il capo dei golpisti, Abdourahmane Tiani, ha scoperto l’ardore anti occidentale soltanto due giorni fa per ammantare di princìpi un colpo di stato che ha scelto di compiere per motivi più gretti: salvarsi il posto, perché sapeva che Bazoum non si fidava più di lui e che stava per essere rimosso dal ruolo di capo della Guardia presidenziale.


Proprio come la marcia su Mosca della Wagner aveva avuto per innesco il timore del “cuoco” traditore Evgeni Prigozhin di perdere il suo posto e il suo potere, visto che pochi giorni dopo, entro il primo luglio, i suoi uomini avrebbero dovuto firmare un contratto con l’esercito regolare e avrebbero smesso di rispondere a lui. E proprio come è cominciata la guerra tra generali in Sudan il 15 aprile, perché il presidente de facto, il generale golpista Abdel Fattah al Burhan, voleva integrare i miliziani del generale Mohamed Hamdan Dagalo nel suo esercito, così il secondo si è ribellato al primo per non scomparire e ha provato a prendere il palazzo a colpi di artiglieria.

  
Lo stesso Tiani, a marzo, aveva difeso da un altro tentato golpe il presidente Bazoum che oggi tiene rinchiuso nelle residenza presidenziale e che improvvisamente accusa di aver svenduto il Niger agli stranieri – ma Tiani fa tutto questo soltanto per non perdere il  posto.   

  
Slogan a parte, la  Russia in questa vicenda non c’entra quasi nulla, finora. Il problema è che una storia di egoismi e ambizioni private completamente slegata dall’eredità coloniale della Francia e dalle nuove ambizioni imperiali di Vladimir Putin si inserisce in un contesto – quello del Sahel – che ormai assomiglia a un piano inclinato che scivola in direzione di Mosca.  Ogni golpe di successo e impunito aumenta le probabilità di un altro golpe nei paesi vicini della regione e, una volta che i leader che hanno preso il potere con la forza si ritrovano dentro il palazzo presidenziale ma isolati sul piano internazionale, si rivolgono alla Wagner e a Putin perché chiedono  meno garanzie dei paesi occidentali come pure della comunità di stati africani. 

  
L’Ecowas, la comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale di cui il Niger fa parte, gli Stati Uniti e l’Europa difendono il presidente democraticamente eletto e non vogliono lasciar correre l’ennesimo colpo di stato  proprio perché l’impunità di una giunta militare eccita gli appetiti di quella accanto, e la conseguenza è un effetto domino nel Sahel. Cioè in una striscia d’Africa infestata dai jihadisti che non ci si può permettere di abbandonare innanzitutto per ragioni di sicurezza internazionale. 

 
L’Ecowas, che comprende quindici paesi nell’ovest del continente, ha imposto subito sanzioni molto dure al Niger della giunta militare, così come ha sospeso il diritto di voto per Burkina Faso e Mali, che prima di Niamey avevano vissuto il golpe e la svolta filorussa. 


Dall’anno scorso il Niger è  il fulcro delle operazioni anti terrorismo dei francesi e degli occidentali nel Sahel, dopo che appunto sono stati cacciati  da Mali e  Burkina Faso, e Bazoum è considerato  uno dei pochi leader non ostili rimasti nella regione.   Ieri l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea,  Jesep Borrell, ha detto con un tweet: “L’Unione sostiene tutte le misure adottate da Ecowas come reazione al colpo di Stato  in Niger e le appoggerà rapidamente e con decisione. E’ importante che la volontà popolare espressa attraverso le elezioni venga rispettata”. L’Ecowas non ha  soltanto deciso le sanzioni, ha dato tempo fino alla fine di questa settimana alla giunta militare per restituire il potere al legittimo presidente, e ha minacciato l’uso della forza se questo risultato non sarà raggiunto prima con la diplomazia, attraverso la mediazione che al momento portano avanti l’ex presidente del Niger e il presidente ad interim del Ciad.

 

Ma Wassim Nasr, giornalista e analista dell’istituto Soufan Center, esperto di movimenti jihadisti in Africa, dice al Foglio: “L’ultimatum dell’Ecowas per il momento non sembra infastidire la nuova giunta, visto che sta ancora intensificando gli arresti  di autorità governative”. Ieri sono stati arrestati alcuni ministri tra cui quello del Petrolio e quello delle Miniere, il che fa temere che la trattativa  non stia procedendo bene. “Ma è troppo presto per dire che sia finita così, soprattutto se l’opzione militare dell’Ecowas contro la giunta golpista  comincia a prendere forma. Lo stesso Tiani – la settimana scorsa – si è mosso soltanto quando, consultandosi con altri militari, ha ritenuto che nel  caso di un suo golpe non si sarebbe tirato addosso come reazione un intervento militare francese”.