Guerra lunga
L'alleanza di Visegrad è a pezzi. Ma attenzione alla Slovacchia
Budapest dice: l’Ue vuole quattro anni di conflitto. Bratislava risponde: Putin può finirla domani. Ci sono grandi divergenze tra Ungheria e Slovacchia che si ritrovano saltuariamente vicine soltanto quando si parla di grano. Ma a fine settembre ci sono le elezioni slovacche: l'ex premier Robert Fico, anti europeo e pro russo, sta preparando il suo ritorno. Un guaio per i socialisti europei
Milano. L’Unione europea non vuole la pace e anzi insiste per portare avanti la guerra, ha detto il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, durante l’Mcc Festival a Strigonio, nel nord del paese, a un passo dal confine con la Slovacchia. “L’Ue pensa che la guerra ci sarà per i prossimi quattro anni – ha detto il ministro, maglietta nera e sole in faccia – Quindi dovremmo chiederci: quanta gente morirà in quattro anni? Quanti ungheresi moriranno in quattro anni? Quanta devastazione ci sarà in quattro anni che qualcuno poi dovrà sistemare?”. Szijjártó denuncia la non volontà di pace dell’Ue, dice che appena scoppia una crisi da qualche parte Bruxelles chiede il cessate il fuoco, ma in Ucraina no, in Ucraina l’Ue “prevede 20 miliardi di euro da stanziare per i prossimi quattro anni”, e l’Ungheria dovrebbe metterne 200 milioni, anche se non ha ricevuto i fondi europei che le spettano e anche se una delle principali banche ungheresi, l’Otp, è considerata uno sponsor della guerra. Szijjártó confonde deliberatamente i piani, prepararsi a una guerra lunga non vuol dire volerla né augurarsela, così come i fondi europei non sono arrivati perché Budapest non rispetta le regole, mentre esenzioni ed eccezioni per salvaguardare gli interessi ungheresi sono state fatte dall’Ue, eccome.
A rispondere a Szijjártó è stato il ministro degli Esteri della Slovacchia, Miroslav Wlachovsky: “Caro Péter – ha scritto su Twitter – non dire per favore che cosa pensano gli altri prima di chiederglielo. Nell’Ue siamo in 27. Non ricordo alcun dibattito in cui abbiamo detto che la guerra continuerà per quattro anni. La guerra può finire domani, non è l’Ue il problema, è la Russia il problema”. Da lì è cominciata una querelle diplomatica che si aggancia a una già in corso dopo che il premier, Viktor Orbán, ha definito una regione della Slovacchia dove vive la minoranza ungherese “separata” dall’Ungheria, riferendosi al suo ideale di Grande Ungheria, in cui tutti i territori in cui vivono persone di etnia ungherese dovranno confluire.
La guerra della Russia in Ucraina ha spezzato il gruppo di Visegrád, che oggi resta saltuariamente insieme condividendo la resistenza dell’est europeo all’arrivo del grano ucraino che distrugge i ricavi degli agricoltori locali, ma che forse domani tornerà più compatto con un cambio della guardia politico, se l’avanzamento delle forze filorusse su cui continua a investire la propaganda di Mosca dovesse avere successo. L’indiziata numero uno per questo sfondamento pro russo è proprio la Slovacchia, che va al voto – di nuovo – il 30 settembre, il primo paese europeo della stagione elettorale autunnale che comprende, tra i grandi, la Polonia e i Paesi Bassi.
Oggi il governo di Bratislava è filoucraino, ma sta preparando il suo ritorno l’ex premier Robert Fico, fondatore del partito Smer (di sinistra, è nel Partito socialista europeo), che da quando si è dovuto dimettere nel 2018 ha iniziato una campagna anti occidentale, anti europea e filorussa, che gli fa dire che sono gli Stati Uniti a volere la guerra e che se l’Ucraina entra nella Nato scoppierà la terza guerra mondiale. Fico è dato in vantaggio nei sondaggi, la sua propaganda contro gli europeisti liberali slovacchi è durissima (la presidente Zuzana Caputová l’ha citata tra le ragioni del suo prossimo commiato) e i socialisti europei si interrogano da tempo sulla sua presenza nel partito: sono già arrivati due appelli da parte di alcuni eurodeputati che ne chiedono la sospensione. I socialdemocratici tedeschi hanno chiesto di far entrare nel Pse Hlas, il partito fondato dall’ex premier Peter Pellegrini fuoriuscito dallo Smer di Fico: nei sondaggi, Fico sta al 21 per cento, Hlas al 13.