I droni su Moskva-city sono un attacco non comune
Kyiv vuole costringere Putin a difendersi in Russia invece che in Ucraina. Gli attacchi con i droni su Mosca sono in aumento: otto in tre mesi, tre negli ultimi quattro giorni
Il ventunesimo piano di un grattacielo di Moskva-city, il quartiere della finanza che ospita anche uffici governativi nel centro della capitale russa, è stato colpito per due notti di fila nello stesso identico punto da droni di fabbricazione ucraina. Droni che sono stati inventati e testati meno di un anno fa ma che sono già sufficientemente potenti da volare per centinaia di chilometri in territorio nemico e sufficientemente sofisticati da sfuggire almeno in parte ai radar russi. Il bombardamento della scorsa notte significa che Kyiv ha raccolto molte informazioni, fatto tanti test e acquisito una grande sicurezza sulle proprie capacità e soprattutto sull’incapacità russa di difendere persino i luoghi simbolici e politici di Mosca, persino quando ormai sa che Kyiv li considera un bersaglio. Se un palazzo del centro pieno di uffici ministeriali è vulnerabile, per il Cremlino è un problema. Se neanche a distanza di una manciata di ore dal primo colpo di avvertimento si trova il modo di spostare un sistema di contraerea per difenderlo, e quindi gli ucraini possono squarciare il piccolo buco del giorno prima e lasciare una ferita nel grattacielo lunga centocinquanta metri, è una terribile figura per il ministero della Difesa e per il Cremlino. E ha un significato pratico, è un messaggio per Vladimir Putin da parte di Kyiv che dice: ecco la prova che non hai sistemi di contraerea sufficienti per proteggere contemporaneamente il tuo territorio e i soldati che occupano il nostro, quindi riportali a case se vuoi evitarti la guerra in casa.
Ieri il sito d’informazione indipendente russo Meduza ha titolato: “Mosca, dove sono le tue famose difese aeree?”. Il portavoce dell’aeronautica ucraina, Yuriy Ignat, ha commentato girando il dito nella piaga: “Dove sono finite le difese aeree russe? Le truppe ucraine hanno un certo livello di esperienza nell’abbattere droni nemici, ma le truppe russe non riescono nemmeno a occuparsi dei droni in aree già prese di mira in passato. E noi confidiamo che non acquisiscano questa capacità”. Il sindaco di Mosca, Sergei Sobyanin, ha detto che in realtà le difese funzionerebbero, che il drone sarebbe stato abbattuto ma, per puro caso, sarebbe finito proprio contro lo stesso bersaglio della notte precedente, il ventunesimo piano della torre di Moskva-city. Una versione a cui non ha creduto nessuno.
Anche se sono state riconosciute nei cieli russi le sagome dei droni autoctoni ucraini come gli Uj-22 e i Beaver, Kyiv mantiene la linea di non rivendicare questo genere di attacchi. Però fa anche sempre meno attenzione a nasconderne la (evidente) paternità e, tre giorni fa, in concomitanza con un altro attacco su Mosca, Volodymyr Zelensky ha parlato della guerra che torna a casa di chi l’ha voluta e cominciata, la Russia: “A poco a poco, la guerra sta tornando nel suo territorio, nei suoi centri simbolici e nelle sue basi militari. Questo è un processo inevitabile, naturale e assolutamente giusto”. La strategia di intimidire Mosca si intensifica e infatti i lanci di velivoli che trasportano esplosivo sulla capitale sono stati otto negli ultimi tre mesi e tre negli ultimi quattro giorni.
Gli ucraini avevano dimostrato di saper arrivare al cuore di Mosca la prima volta all’inizio di maggio, quando due droni sono stati abbattuti in cima al Cremlino. Era un attacco che non puntava a fare danni materiali, ma aveva un alto valore simbolico, come l’ultimo. Moskva-city non è una zona residenziale, le torri sono piene d’uffici e dopo l’ora di cena di solito non c’è nessuno, infatti non ci sono stati feriti, ma nei video si vedono i documenti sparpagliati finiti in giro per la strada. Non sono documenti qualsiasi: sono le carte degli impiegati che lavorano alla propaganda di stato, vengono dalle scrivanie dei dipendenti del ministero dello Sviluppo digitale, delle Comunicazioni e dei Mass media.