confini elettorali

Come le elezioni polacche trascinano la guerra in mezzo alla politica interna

Micol Flammini

Il partito di governo denuncia incursioni dalla Bielorussia, marce della Wagner verso il confine, e alza i toni in una campagna elettorale che ha sempre meno a che fare con il conflitto in Ucraina e sempre di più con le questioni interne al paese. Ma gli allarmismi funzionano più a Roma che non a Varsavia

La Polonia e la Bielorussia stanno imparando a usare per fini interni il confine che le divide, lungo quattrocentodiciotto chilometri recintato, sorvegliato e pattugliato da almeno tre anni. Da quando il dittatore di Minsk, Aljaksandr Lukashenka, iniziò a scaricare migranti lungo la frontiera e a spingerli dalla parte di Varsavia con lo scopo di destabilizzare l’Unione europea. La pratica di trasportare esseri umani fatti arrivare a Minsk con la promessa di un passaggio sicuro verso l’Ue non si è fermata, i numeri sono molto scesi, ma ci sono ancora migranti che tentano di raggiungere la Polonia nascondendosi nella foresta, con il sole e con la neve. Appena Lukashenka ha un modo per ricattare l’Ue lo usa. Spesso la sua iniziativa viene confusa con quella di Vladimir Putin, ma il dittatore di Minsk ha i suoi interessi, i suoi puntigli, le sue ambizioni personali e spesso vuole destabilizzare per se stesso e non per altri, non per il Cremlino. Dai primi di luglio, dopo la marcia verso Mosca, in Bielorussia sono arrivati alcuni combattenti del gruppo Wagner e Lukashenka sta imparando a usare la loro presenza a fini interni ed esterni, ogni tanto la situazione gli sfugge di mano e i suoi oppositori lo ritraggono come terrorizzato dalla presenza degli aspiranti golpisti armati fino ai denti. La presenza della Wagner ha portato la Polonia ad aumentare le sue truppe al confine, a schierare cecchini, a pubblicare video di mezzi militari che si dirigono a presidio della frontiera. 

 

Martedì la Polonia ha accusato la Bielorussia di aver violato lo spazio aereo con velivoli militari, Minsk ha negato, e Varsavia ha schierato nuove truppe al confine. Lo fa coordinandosi con la Nato, che viene informata di ogni spostamento, e nonostante il portavoce della Casa Bianca, John Kirby, abbia detto che gli Stati Uniti non sono a conoscenza di nessuna minaccia specifica alla Polonia causata dalla Wagner. L’allarmismo di una Varsavia confusa dalla politica interna e dalle elezioni di ottobre suona immotivato a Washington. Lukashenka ha detto che Varsavia dovrebbe ringraziarlo, altrimenti i combattenti l’avrebbero già distrutta, invece lui è lì a badarli, a trattenerli e ha proposto loro di entrare a far parte del suo esercito poco nutrito, non addestrato per la guerra e poco motivato a entrare in Ucraina. “Voglio che questi ragazzi – ha detto il dittatore – rimangano nelle Forze armate del nostro paese come membri di un esercito a contratto”. Poi ha assicurato di non volere una guerra, anzi, di volerli usare per fermare i vicini dalla tentazione. 
Di Lukashenka non c’è da fidarsi, il numero di uomini della Wagner nel suo territorio non si conosce con esattezza, il confine va monitorato e lo è, ma gli allarmi della Polonia non sono condivisi dai suoi alleati: l’Alleanza atlantica ha contribuito a rafforzare Varsavia, che dopo l’invasione russa dell’Ucraina ha provveduto a rinnovare il suo arsenale. Sabato scorso il premier polacco, Mateusz Morawiecki, era a Gliwice, nella parte sud-occidentale del paese, nella sede della Bumar-Labedy, dove si aggiustano i carri armati Leopard utilizzati dall’esercito ucraino. Morawiecki ha approfittato dell’occasione per ricordare l’impegno del suo governo, sempre pronto a sostenere militarmente Kyiv, ha ricordato quanto il rapporto con Mosca sia sempre stato tormentato per i polacchi e quello con Minsk sia fonte di grande preoccupazione e ha aggiunto che circa cento uomini della Wagner di stanza in Bielorussia si preparavano a raggiungere il confine per entrare travestiti da migranti e destabilizzare il paese con atti di guerra più o meno ibrida. Il premier ha citato anche il corridoio di Suwalki, quella linea che divide Lituania e Polonia a lungo considerata il punto di fragilità della Nato, che non è più così tanto fragile.

 

La notizia è stata ripresa con molto allarmismo in Italia, interpretata come la certezza che i mercenari si stessero dirigendo verso il corridoio di Suwalki, senza notare che subito dopo Morawiecki ha detto che Donald Tusk, il principale sfidante del suo partito, “è un uomo pericoloso”. In Polonia, il discorso del premier veniva presentato con molto distacco dalle notizie principali di giornata ed era stato preso per quello che effettivamente era: campagna elettorale. Con l’approssimarsi delle elezioni, in Polonia la guerra di Mosca contro Kyiv verrà utilizzata sempre di più come argomento di propaganda, per accusarsi di russofilia, per creare allarmismi tali da coprire i droni che volano su Kyiv e colpiscono di nuovo il porto di Odessa, i depositi di grano a Izmail, al confine con la Romania, le esplosioni in Crimea e la controffensiva ucraina. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)