esternalizzare i confini
La giunta militare in Niger fa paura all'Ue anche sul fronte dei migranti
Niamey era l’unico vero partner dell'Europa nella gestione dei flussi migratori dall'Africa. Dopo il golpe è diventata un problema in più. Il problema degli aiuti allo sviluppo congelati e l'incognita jihadista
Sono bastati pochi giorni a trasformare il Niger da possibile soluzione a parte del problema nella gestione dei flussi migratori diretti in Europa. Ora che la nuova giunta militare si è insediata nel paese, i circa 2 miliardi di dollari che l’occidente stanziava ogni anno in progetti di sviluppo sono stati congelati. Una sanzione mirata per colpire i golpisti sponsorizzati dai russi, ma che d’altra parte rischia di aggravare in modo ulteriore le condizioni di vita del Niger, uno dei paesi più poveri al mondo e snodo delle vie di transito dei migranti verso l’Africa del nord. Fino a poche settimane fa, Niamey era per l’Ue il pilastro su cui si reggeva la sua politica migratoria votata all’esternalizzazione delle frontiere. Nel 2022 Emmanuel Macron aveva varato un nuovo strumento, il Mocadem, il Meccanismo per il coordinamento operativo della dimensione esterna delle migrazioni. Fra i paesi coinvolti in questo nuovo tavolo di confronto fra Europa e Africa ci sono la Tunisia, la Libia, l’Egitto e appunto il Niger.
Qualche mese dopo, anche l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere, Frontex, ha siglato un accordo di cooperazione con la missione Ue in Niger per fornire consulenza e addestrare le forze di sicurezza del paese. Un unicum in tutto il continente. “Questa partnership aiuterà a salvare vite, smantellare il sistema d’affari delle reti criminali, prevenire lo sfruttamento dei migranti e proteggere i loro diritti fondamentali”, spiegava Frontex. Al centro del programma di cooperazione c’era il monitoraggio delle frontiere con sistemi di riconoscimento satellitare, come quelli del progetto europeo Eurosur. La scelta del Niger come avamposto in Africa per le attività di Frontex era la prova che l’Ue guardava al paese non soltanto come a un partner imprescindibile nella lotta al traffico di esseri umani. Per Bruxelles, Niamey era qualcosa di più: l’unico stato del Sahel con un presidente eletto democraticamente, immune al contagio golpista della regione e disposto ad accettare lo schema di cooperazione caro all’Ue: soldi e mezzi in cambio di sorveglianza alle frontiere.
Il colpo di stato ha stravolto i piani dell’Europa, rimasta sorpresa dal rapido susseguirsi degli eventi. Nemmeno un mese fa, l’Alto rappresentante della Politica estera e di Sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, in visita nel paese esaltava il Niger e lo definiva “un partner solido e affidabile”. Invece non si è fatto in tempo a concludere un memorandum di intesa con la Tunisia, che ecco riaprirsi più a sud un’altra enorme via d’accesso per i migranti. Per l’Europa, il contesto non potrebbe essere più sfavorevole. I numeri sono impietosi. Frontex registra un più 137 per cento di migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale nei primi sei mesi dell’anno e ci sono poi i flussi interni al Sahel. Secondo l’Unhcr, il Niger ospita 251.760 rifugiati, molti provenienti da Burkina Faso, Mali e Nigeria, oltre 358 mila sfollati interni e altri 50 mila richiedenti asilo. Se è vero che i nigerini non emigrano in Europa, si tratta comunque di un paese di transito per i migranti di altre nazionalità, perché nel deserto del Sahara, sull’asse che da Agadez porta a nord, a Séguédin, fino a Madama e a Sebha, in Libia, oppure fino ad Assamakka, al confine con l’Algeria, transitano ogni anno migliaia di persone dirette verso le coste del Mediterraneo.
“Finora non si registrano conseguenze nei flussi migratori dopo il colpo di stato, ma il numero dei migranti abbandonati nel deserto e giunti ad Assamakka è stato più elevato del solito negli ultimi mesi. Soltanto lì sono arrivate 4.500 persone in questi giorni”, dice al Foglio Morena Zucchelli, capomissione in Niger di Coopi, una delle più grandi ong ancora attive lungo i confini del paese. “A spiegare l’aumento dei flussi c’è anche la politica dei respingimenti varata dalla Tunisia”, spiega Zucchelli. Il Niger è la valvola di sfogo usata dai partner nordafricani dell’Ue per ricacciare indietro i migranti diretti in Europa. Se la Tunisia riversa migliaia di subsahariani lungo i confini con Algeria e Libia, questi a loro volta li respingono nel deserto del Niger. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, dal 2014 sono morte oltre mille persone abbandonate nel deserto del Niger, ma il numero esatto è sconosciuto. “C’è da aspettarsi un flusso elevato di migranti oltre i confini nel caso in cui le minacce interventiste fatte dagli altri stati della regione dovessero concretizzarsi – dice la capomissione di Coopi da Niamey – E poi c’è l’incognita jihadista. Se le milizie dovessero trarre vantaggio dall’instabilità del paese aumenterebbe l’insicurezza dei migranti e il numero delle persone in fuga”.
Controllare queste rotte desertiche, un Far West di trafficanti e miliziani, era l’obiettivo dell’Europa. L’unico che nella regione finora si era dimostrato disponibile a fare il poliziotto dell’Ue in cambio di aiuti economici – Bruxelles aveva stanziato oltre 500 milioni di euro in aiuti allo sviluppo fino al 2024 – era stato proprio il presidente deposto, Mohamed Bazoum. Nel 2015 il Parlamento di Niamey approvò una legge, la “2015-036”, che aumentava le misure repressive nei confronti di chi facilitava il passaggio dei migranti nel deserto. A sponsorizzare l’iniziativa ci fu proprio l’Ue, che puntava ad arginare il flusso delle partenze verso le coste del Nord Africa. Il risultato è stato l’opposto: i trafficanti hanno trovato vie meno sicure per sfuggire alla polizia nel deserto, con il conseguente aumento dei traffici illeciti, della criminalità e dei morti. Una politica cinica, ma meno di quanto potrebbe riservare in futuro un governo golpista sponsorizzato da Vladimir Putin.
Dalle piazze ai palazzi