l'incontro regionale
Lula finge di salvare l'Amazzonia per salvare la sua leadership regionale
Il vertice di Belem è la sua incoronazione. Dopo un inizio incerto, i dati record sulla riduzione della deforestazione ridanno forza e credibilità al presidente brasiliano
“Penso che il mondo debba considerare questo incontro di Belém come una pietra miliare”, era stata la presentazione che Lula aveva fatto del Vertice sull’Amazzonia, in agenda ieri e oggi, in un’intervista alla Bbc. “Ho partecipato a diversi incontri e molte volte parlano, parlano, parlano, approvano un documento e non succede niente. Questo incontro è la prima grande opportunità per le persone di mostrare al mondo cosa vogliamo fare”. E poi: “Quello che vogliamo è dire al mondo cosa faremo con le nostre foreste e cosa deve fare il mondo per aiutarci, perché hanno promesso 100.000 milioni di dollari nel 2009 e finora non si sono visti”. “Questo è un momento fondamentale. Quello che stiamo facendo in difesa dell’Amazzonia e della sua popolazione è storico”, è stato l’ultimo tweet di ieri mattina, mentre i suoi ospiti venivano accompagnati ai colloqui da motociclette della polizia per iniziare.
Insomma, per il presidente brasiliano è un appuntamento chiave. “Una scommessa personale”, l’ha definita. Tanto che nell’intervallo tra elezione e insediamento era andato a pontificare applauditissimo alla Cop27 per accreditarsi come colui che avrebbe potuto porre fine ai livelli record di disboscamento della grande foresta pluviale raggiunti durante la presidenza di Bolsonaro. Eppure i primi mesi di presidenza avevano segnato anche per lui alcuni scivoloni, proprio sul fronte dell’ecologia: il tasso di disboscamento dell’Amazzonia, dopo essere lievemente diminuito tra febbraio e marzo, era tornato a decollare, raggiungendo un livello record per il primo trimestre; poi le polemiche per un suo parere positivo a un progetto di sfruttamento petrolifero proprio in Amazzonia; fino al voto in Congresso che ha limitato pesantemente le competenze del ministero dell’Ambiente. Ma nel secondo trimestre del 2023 non solo i danni di febbraio e marzo sono stati compensati, ma si è registrato un -33,6 per cento che ora è record positivo. E a luglio la diminuzione mensile è arrivata al -66 per cento.
Questo successo è il motivo per cui è stato possibile convocare un appuntamento che serve anche a confermare la pretesa di Lula a una leadership geopolitica regionale. Cosa peraltro anche più facile perché per mancanza di porzioni di Amazzonia a Belén non ci sono né il presidente cileno Boric né l’uruguayano Lacalle. Cioè, proprio i due che più lo hanno contraddetto e attaccato per le sue posizioni “comprensive” verso Putin e verso le involuzioni autoritarie in Venezuela e Nicaragua ai due precedenti vertici Celac e Celac-Ue. Tra coloro che sono volati a Belém per l’incontro ci sono il presidente della Bolivia, Luis Arce, quello della Colombia Gustavo Petro, quello della Guyana Irfaan Ali e quella del Perù Dina Boluarte.
A differenza di Lula, va detto, non in momenti felicissimi. Petro, in particolare, il 7 agosto ha celebrato il suo primo anno di governo in un clima orribile, col figlio Nicolás, anche deputato, che è prima finito dentro per arricchimento illecito e riciclaggio, e poi è stato rimesso in libertà dopo tre giorni per aver accettato di collaborare e per aver ammesso di aver fornito denaro del narcotraffico per la campagna elettorale del padre. Però anche lui se non altro si presenta con una deforestazione diminuita del 29 per cento su scala annuale. Arce invece, a parte uno scontro frontale con il suo ex mentore Evo Morales che ha spaccato in due il partito di governo, tra 2021 e 2022 ha addirittura visto la deforestazione aumentare del 50 per cento. Dina Boluarte, insediata dopo la deposizione del presidente eletto Pedro Castillo, è la prima volta che ottiene dal Congresso il permesso di uscire dal paese.
Il presidente dell’Ecuador Guillermo Lasso invece non è proprio andato, perché dimissionario. Ha mandato un ministro come il presidente del Suriname Chan Santokhi, invece trattenuto dalla Giornata dell’Immigrazione giavanese. Un’otite ha invece bloccato il venezuelano Nicolás Maduro, sostituito dalla vicepresidente Delcy Rodríguez.
Tutti questi paesi costituiscono l’Organizzazione del Trattato di cooperazione amazzonica (Acto), creata nel 1995 per applicare il documento firmato il 3 luglio 1978 e poi emendato nel 1998. Un segretariato permanente fu poi stabilito a Brasilia nel 2002, ma questo viene presentato come quarto vertice dei presidenti. Esteso, peraltro, visto che sono state invitate anche rappresentanze della Repubblica democratica del Congo per le foreste fluviali del bacino del Congo, dell’Indonesia per le foreste pluviali del Borneo e di Sumatra, della Francia per la Guyana Francese, della Norvegia e Germania come donatori di un Fondo Amazzonia, e di organizzazioni internazionali come Fao, Celac. Undp e Ndb. “Per la grave escalation della crisi climatica la necessità di cooperazione regionale era più urgente che mai”, ha detto Lula nel discorso di apertura.
Tra gli obiettivi, un possibile accordo per fermare la deforestazione entro il 2030 e sforzi congiunti per combattere l’estrazione mineraria illegale e criminalità organizzata. Petro chiede anche il bando dell’esplorazione di petrolio e gas, ma qui come visto si scontra con Lula. La Dichiarazione di Belém, che sarà redatta alla fine, dovrebbe comunque prevedere strategie collaborative contro la deforestazione, iniziative per finanziare sviluppo sostenibile e la creazione di un forum a Manaus per promuovere la cooperazione tra le polizie. Grande 6,7 milioni di chilometri quadrati, l’Amazzonia ospita 50 milioni di abitanti, 400 miliardi di alberi appartenenti a 16.000 specie diverse, oltre a 1.300 specie di uccelli, decine di migliaia di specie di piante, il 20 per cento delle risorse mondiali di acqua dolce e più di 120 miliardi di tonnellate di carbonio.
Dalle piazze ai palazzi