l'estate a mosca

Come cambiano le vacanze dei russi con la guerra

Micol Flammini

L'invasione dell'Ucraina non ferma i viaggi, ma li fa diminuire. Soprattutto nessuno si fida più del Mar Nero e la Crimea occupata scompare dalle tappe predilette

I russi vanno in vacanza, ma hanno cambiato le loro abitudini. Sentono la guerra e temono la guerra, per cui il Mar Nero è diventato il posto da evitare. La Crimea, annessa con un referendum illegittimo e con la forza, è sempre stata una meta vacanziera, e l’arrivo della Russia nel 2014 aveva già stravolto il suo mercato, impoverito le sue infrastrutture, tanto che diversi russi, frequentatori assidui e  ben accolti nella penisola prima dell’annessione, pensavano che lo strappo internazionale non avesse giovato ai costumi vacanzieri. Tanto meno ha giovato la decisione di invadere tutta l’Ucraina, e adesso la Crimea, trasformata in una base militare dall’esercito russo, è  da evitare. Perché passare sul ponte di Kerch, che collega la penisola alla Russia, non è sicuro, si crea  traffico e, nel caso di attacchi forti alla Crimea o al ponte da parte dell’esercito ucraino, i turisti fuggono, nel panico. Sergei Romashkin, vicepresidente dell’Associazione dei tour operator russi, ha detto al Kommersant che in Crimea il turismo è calato almeno del 30 per cento. La penisola ucraina, da meta di elezione dei russi, si sta derussizzando, in città come Sebastopoli le prenotazioni si sono ridotte del 66 per cento, a Eupatoria del 69. Qualcuno ha cambiato programmi restando in Russia, andando a Sochi o in altre località della regione di Krasnodar, sempre affacciate sul Mar Nero, che Mosca ha reso un mare infrequentabile. I numeri di chi viaggia sono più bassi dell’estate del 2022, Romashkin però cita l’autunno scorso come il momento di maggior declino del turismo russo. E’ stata la decisione del Cremlino di indire una mobilitazione parziale a bloccare le partenze di circa un milione di turisti. 

 

Senza il Mar Nero, i russi hanno esplorato altre zone, come le città, o il Daghestan, la repubblica più grande Caucaso, delimitata dal Mar Caspio, e fucina di tanti soldati da mandare in Ucraina. Per le vacanze all’estero, le mete preferite  sono l’Indonesia, la Corea del sud, l’India, la Thailandia, il Montenegro, la Spagna. L’illusione che i russi non si accorgessero della guerra è finita presto, l’idea che la propaganda potesse celare l’isolamento non ha mai funzionato e adesso anche la crisi del rublo, che Vladimir Putin tenta di rianimare in ogni modo, influisce sulle abitudini dei cittadini.  Il potere cerca di creare le sue consolazioni, come il finto iPhone, chiamato rPhone – la risposta di Mosca ai bandi della Apple – che ha lo stesso effetto dei finti McDonald’s risorti con gli stessi panini e il nuovo nome Vkusno i tochka, “Buono e basta”. A settembre ci saranno delle elezioni amministrative in Russia, il piano è far votare anche i cittadini dei territori occupati nelle quattro oblast che Mosca dice di aver annesso un anno fa e in Crimea. Oltre alla pretesa di votare in territori che non esistono in quanto russi, ma sono in Ucraina, la patina di elezioni normali si regge con difficoltà anche nelle regioni e nelle città che sono davvero parte della Russia. Ieri sono stati perquisiti gli uffici di Golos, l’associazione non governativa che si occupa del monitoraggio del voto, e la casa del copresidente, che è stato accusato formalmente di gestire “un’organizzazione indesiderabile”. La società russa si stava preparando alla guerra prima che Putin invadesse l’Ucraina, ora la stretta è  aumentata, tutto parla di guerra, anche i libri di testo, anche le pubblicità per le strade, anche le elezioni, in cui  il dibattito è annullato ma la repressione è aumentata. Ieri un tribunale istituito dalla Russia nel territorio occupato di Donetsk ha condannato tre soldati ucraini per “trattamenti crudeli alla popolazione civile”. Nessuno riconosce quel tribunale, tranne il Cremlino. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)