In America
Da New York a Gotham City, la trasformazione di Rudy Giuliani
L'ex sindaco della Grande Mela finisce sul lastrico e, non riuscendo a pagare i suoi stessi avvocati che lo stanno difendendo, chiede soldi a Donald Trump
In un parcheggio tra un crematorio e un sex shop della Pennsylvania, l’8 novembre del 2020, Rudy Giuliani tenne una conferenza stampa cercando di convincere i giornalisti che Donald J Trump non stava perdendo le elezioni. Qualche settimana dopo, in diretta sul palco, mentre continuava a mettere in dubbio la vittoria elettorale di Joe Biden, dalle sue basette iniziò a gocciolare del liquido nero, forse tintura per capelli, trasportata attraverso le guance dal sudore, mentre citava frasi di Mio cugino Vincenzo. E’ subito diventato, come se non fossero bastate le dichiarazioni cospirazioniste da QAnon, uno dei personaggi preferiti del cerchio magico trumpiano da sfottere negli show serali, al Saturday Night Live. Nella quarta incriminazione presentata a Trump anche Giuliani risulta tra gli incriminati e dovrà difendersi dalle accuse della procuratrice della Georgia Fani Willis. E poi, a quanto pare, sarebbe al verde. Per anni è stato pro bono l’avvocato personale di Trump e non avrebbe ricevuto in cambio un centesimo (è nota l’avarizia dell’ex presidente nel pagare i suoi sottoposti, anche quando non sono pro bono).
Giuliani non riuscirebbe a pagare i suoi stessi avvocati che lo stanno difendendo in casi di diffamazione in cui è coinvolto in Georgia. Avrebbe messo in vendita il suo appartamento nell’Upper East Side per quasi 7 milioni. Deriso dai comici, inseguito dalla giustizia per aver tentato di sovvertire le elezioni presidenziali, accusato di molestie sessuali da un’ex collaboratrice, rimasto senza soldi, ci si chiede se questo sia lo stesso Giuliani del 2001, quello che venne scelto come persona dell’anno di Time per aver gestito la crisi post 11 settembre e aver guidato una città traumatizzata dal terrorismo. O lo stesso Giuliani che per gli stessi motivi venne designato Cavaliere Comandante dell’Ordine dell’Impero dalla regina Elisabetta, il più alto onore per un non cittadino britannico. O lo stesso Giuliani che, quand’era sindaco, appariva negli episodi di Seinfeld o nei film di Adam Sandler. O lo stesso Giuliani che aveva collezionato una bella lista di medaglie dai governi stranieri e dottorati honoris causa da varie università. O lo stesso Giuliani che dopo il 2001 era tra i conferenzieri più ricercati, guadagnando milioni di dollari. O lo stesso Giuliani che anni prima aveva collaborato con Falcone e Borsellino per incriminare le famiglie mafiose italoamericane. O lo stesso Giuliani chiamato il “procuratore di ferro”, a cui molti, dicono, si deve la pulizia di New York dal crimine e la trasformazione di Times Square da bordello a cielo aperto a tourist trap. E’ come se ne esistessero due, di Giuliani. Quello che Oprah Winfrey chiamò “il sindaco d’America” e quello che fa le conferenze stampa nei parcheggi con la tintura per capelli che gli gocciola fino al mento.
E’ come se Donald Trump avesse clonato il primo Giuliani per crearne uno disposto a perdere tutto, compresa la sua casa, per difenderlo strenuamente dalle accuse giudiziarie. Sono molti gli ex fedelissimi che, dopo l’assalto al Campidoglio e dopo i 91 capi d’accusa statali e federali hanno iniziato ad abbandonare Trump, scendendo dalla barca MAGA che affonda moralmente ma non nei sondaggi. Non Giuliani, che è rimasto accanto all’ex presidente, con la stessa tenacia con cui da procuratore cacciava i criminali. Come l’Harvey Dent dei fumetti di Batman, il procuratore distrettuale di Gotham City, che da paladino della legalità diventa il supercriminale Due facce, Giuliani ha mostrato i suoi due volti. Non insieme, ma uno dopo l’altro. Repubblicano moderato, cresciuto a Brooklyn, figlio di un uomo di origini pistoiesi che aveva passato del tempo a Sing Sing per rapina a mano armata, Giuliani è stato un ottimo esempio di sogno americano. Dopo la laurea in legge si è impegnato nel pubblico tenacemente per sconfiggere la criminalità, tanto che secondo alcuni pentiti Totò Riina offrì 800mila dollari per assassinarlo negli anni ‘90, diventando poi un eroe superpartes dopo il crollo delle torri gemelle. Ora è il famiglio più ridicolo di un presidente incriminato che si è rifiutato di perdere, che ha provato a organizzare un putsch. Anzi, proprio Giuliani è stato quello che più di ogni altro, nei momenti forti del tentato coup d’état, ha continuato ad accusare i democratici di aver rubato le elezioni, che ha aizzato le folle a Washington il 6 gennaio, senza mai mettere in dubbio per un secondo la statura politica di Trump, come allora stavano facendo molti membri del GoP. Sembrano passati secoli da quando era il beneamato sindaco di New York che al massimo faceva notizia per i suoi tradimenti (Giuliani ha tre ex mogli) o per piccole accuse di antisemitismo privato.
Ma come si passa dalla copertina di Time, dove è in piedi imperioso davanti alla città che ha gestito e nel suo momento più buio, a zimbello ridicolizzato nei late show? Secondo Andrew Kirtzman, che ha scritto nel 2022 il libro Giuliani: The Rise and Tragic Fall of America’s Mayor, (dopo aver pubblicato ventidue anni prima Rudy Giuliani: Emperor of the City), la causa andrebbe ricercata in un misto di alcolismo, santimonia e infinito bisogno di attenzione. Secondo Kirtzman la candidatura presidenziale del 2008 lo avrebbe scombussolato, portandolo a trasferirsi in Florida e a passare le giornate in accappatoio fumando sigari o andando a trovare il vecchio amico a Mar-a-Lago. Era una campagna partita benissimo e finita malissimo, quella del 2008, e forse, dato il mancato riscontro alla sua ambizione, ha cercato altre soddisfazioni nella tragica crociata egocentrica di Trump.
Cose dai nostri schermi