Lo stigma nucleare a Fukushima è antiscientifico, ma indelebile
La propaganda cinese pompa sulle tesi contro il piano di Tokyo per Fukushima in chiave politica antigiapponese. Ma per i pescatori e gli agricoltori nipponici è un disastro senza fine
È una nube densa e impenetrabile quella che da 12 anni ricopre i quasi 14 mila chilometri quadrati della prefettura di Fukushima, in Giappone. Una regione un tempo industriale e agricola in pieno sviluppo. E non c’entra più la radioattività, la conseguenza della devastante catastrofe del terremoto e maremoto che l’11 marzo del 2011 danneggiò la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi nella cittadina di Okuma, a poco più di tre ore di treno dalla capitale Tokyo. Non c’entra più nemmeno la maldestra e arrogante gestione dell’emergenza da parte della famigerata società Tepco. La coltre oscura e minacciosa che a distanza di più di un decennio incombe sulla prefettura giapponese è quella dello stigma: Fukushima come Chernobyl, come Zaporizhzhia, anche se la situazione è completamente diversa, e lo è sin dall’inizio.
E’ da sempre il problema del nucleare, il nemico invisibile che si presta a manipolazioni, disinformazioni, preoccupazioni, che risveglia l’ansia e le paure antiscientifiche, usato ad arte dai nemici per minacciare e far leva sull’opinione pubblica internazionale. Ieri il governo del primo ministro Fumio Kishida ha dato il via libera allo sversamento dell’acqua che da anni serve al raffreddamento del nucleo radioattivo della centrale. Sui media internazionali si leggevano titoli sensazionalistici, fomentati dalla campagna che da anni la Repubblica popolare cinese porta avanti in chiave antigiapponese. Ieri, commentando la notizia, il portavoce del ministero degli Esteri giapponese Wang Wenbin ha parlato di “una decisione estremamente egoistica e irresponsabile” da parte giapponese, poiché “lo scarico diffonderà i rischi di contaminazione nucleare al resto del mondo”. Ma i fatti sono molto diversi. Bastava osservare già qualche anno fa la centrale di Fukushima Dai-ichi e il colpo d’occhio era impressionante: una distesa di silos ermetici pieni dell’acqua usata per il raffreddamento. Tokyo ha lavorato a lungo a un piano di lenta sostituzione dei silos, e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica l’ha studiato due anni prima di dare il via libera, arrivato circa un mese fa. Il capo dell’agenzia dell’Onu, Rafael Mariano Grossi, ha spiegato che lo sversamento avverrà in quantità piccolissime, e comunque dopo che l’acqua sarà stata trattata per tenere i valori del trizio, l’isotopo radioattivo che esiste ovunque, anche nelle acque italiane, a circa 1.500 becquerel per litro, cioè quasi un settimo del valore che per le linee guida dell’Oms è accettabile per l’acqua potabile. Eppure lo stigma a Fukushima – non solo per l’area della centrale nucleare, ma per l’intera prefettura – resta lì, immobile, indelebile.
L’Ue ha sollevato le restrizioni alle importazioni dei prodotti agricoli dalla prefettura solo un mese fa. L’esecutivo sudcoreano del presidente Yoon Suk-yeol, in questa fase di riavvicinamento diplomatico a Tokyo, ha appoggiato il piano giapponese, ma l’opposizione è sul piede di guerra e organizza manifestazioni sulla base di tesi antiscientifiche. E il problema, sin dall’inizio di questo disastro, è dei pescatori e degli agricoltori di Fukushima, che da anni vedono il prodotto della loro terra boicottato, rifiutato e consumato solo dai locali. Un pescatore di Iwaki ha spiegato bene la questione ieri al quotidiano Asahi. Ha detto: non si tratta più nemmeno di sapere se il rilascio delle acque è sicuro dal punto di vista scientifico o degli indennizzi del governo. Si tratta dell’opinione pubblica. E quindi della propaganda politica.